Non posso non iniziare che ricordando Fabiana ed esprimendo la vicinanza alla sua famiglia, colpita da un dolore troppo grande e troppo ingiusto. La confessione dell’uccisione di Fabiana, avvenuta ieri da parte di un sedicenne, suo coetaneo e concittadino di Corigliano Calabro lascia sgomenti. Durante l’interrogatorio, i giornali – che continuano a titolare colpevolmente “dramma della gelosia” – ci dicono che il ragazzo non ha dimostrato il ben che minimo pentimento per aver accoltellato e bruciato viva la sua fidanzata.
È chiaro che un fatto del genere sciocca e indigna. Eppure quello che è accaduto a Corigliano non è diverso da ciò che si consuma quotidianamente: quello che cambia ogni giorno è solo il nome, l’età, la provenienza geografica, lo stato sociale della vittima e del carnefice. Perché purtroppo quando pronunciamo la parola “femminicidio” ci riferiamo proprio alle tante Fabiane di questo Paese.
Questa Convenzione, che l’Italia si appresta a ratificare, sottolinea la necessità di iniziare un percorso culturale che parta dallo sguardo sociale sulle donne. Parta cioè dalla decostruzione di quell’idea per cui tutto dipende dai nostri comportamenti. C’è ancora chi pensa che se fossimo donne ubbidienti e caste forse gli uomini non sarebbero così violenti: come se una prostituta invece meritasse di essere violentata, picchiata o uccisa. No, la verità è che “Troppo non è mai abbastanza”, come ci ha raccontato Ulli Lust, facendoci vergognare del nostro Paese. Donne pensate e immaginate come oggetti di proprietà, come cose da possedere. E più vivono condizioni di precarietà economica e sociale e più facile diventa la reificazione.
Che c’è di meglio per esempio delle donne migranti? Badanti sequestrate dentro le case degli anziani che accudiscono. Famiglie italiane che pensano che pagando un lavoro comprano la vita di queste donne. Ho intrapreso un viaggio per i centri antiviolenza del nostro Paese. L’ho voluto chiamare #RestiamoVive. La prima tappa è stata proprio a Cosenza al Centro Roberta Lanzino a pochi passi da Corigliano. Bene, quel Centro qualche anno fa è stato costretto a chiudere la Casa Rifugio per donne maltrattate per mancanza di fondi. E sempre in questo viaggio al Centro Ester Scardaccione di Potenza ho ascoltato, tra le altre, le testimonianze di tante donne straniere a cui per lavorare veniva chiesto anche di accettare clausole non scritte come far godere sessualmente il malato o un parente vicino.
In questo quadro, bisogna decostruire modelli e stereotipi. Bisogna avere la capacità di ripensare un nuovo concetto di cittadinanza, per tutti coloro che nascono e vivono in Italia. Ed ecco perché un ruolo centrale in questo percorso lo rivestono la scuola e l’università, i mezzi di comunicazione, l’informazione. La Convenzione che stiamo per ratificare al Capitolo III – dall’art. 12 all’articolo 17 – ci parla proprio di questo.
Dell’importanza, per esempio, dell’insegnamento dell’educazione sentimentale, della formazione all'”affettività” per far sì che i bambini non seguano quelli che in tutti questi anni sono stati spacciati come elementi innati e che invece sono soltanto le costruzioni sociali e culturali del maschile e del femminile. Bisogna mettersi – questa volta sì – dalla parte di tutte le bambine e di tutti i bambini. Un accesso alla scuola libero, pubblico e laico come ha stabilito il referendum a Bologna. In cui restituire a ogni individuo che nasce la possibilità di autodeterminarsi nel modo che gli è più congeniale, indipendentemente dal sesso a cui appartiene.
In quest’ottica di formazione di una classe di insegnanti nuovi, un ruolo importante lo riveste l’Università con gli studi di genere o gender studies, come vengono chiamati nel mondo anglosassone, che rappresentano un approccio multidisciplinare e interdisciplinare allo studio dei significati socio-culturali della sessualità e dell’identità di genere. In Italia anziché essere valorizzati sono sotto scacco: nei tagli applicati dalla riforma Gelmini i primi corsi che sembrano scomparire sono proprio questi. Noi di Sinistra ecologia e libertà siamo intervenuti anche con successo aprendo un dibattito pubblico che ha bloccato la soppressione dei corsi.
Da qui si riparte. Da un’ammissione di colpevolezza da parte della politica, dall’atteggiamento miope di chi in questi anni ha preferito parlare di “sicurezza” e convocare Consigli dei Ministri d’urgenza quando era del tutto evidente che l’emergenza fosse strutturata e radicata. Da chi utilizza il corpo delle donne per portare aventi della propaganda razzista e moralista che non contrasta ma aumenta l’odio nel Paese.
Vede signora Presidente io tra qualche giorno farò 34 anni, sono nata nel 1979, sono figlia della tv commerciale, mi sono imbevuta nel corso della mia vita di cartoni animati con principesse e streghe, telefilm americani con papà a lavoro e mamme a fare biscotti, programmi come “Non è la Rai”. Sognavo da adolescente di essere belle come quelle ragazze e quindi lungi da me uno sguardo giudicante o bigotto nei confronti di chi investe sulle propria fisicità e sul mondo dello spettacolo. Ma oggi c’è un vero e proprio abuso mediatico del corpo femminile che viene associato a qualsiasi prodotto da reclamizzare fino ad arrivare addirittura a inscenare un femminicidio per pubblicizzare un panno per la polvere.
Faccio parte di quella generazione che ha ereditato dal movimento delle donne il concetto di libertà e di autodeterminazione e tanto altro ancora. E pensavo ingenuamente che quei concetti e quei diritti nessuno li avrebbe più messi in discussione. Oggi invece di parlare della precarietà come tratto della mia generazione che figli non ne fa più perché non è neanche nelle condizioni di poterli fare devo ancora stare qui a difendere la legge 194 dagli obiettori di coscienza e dai movimenti pro life spalleggiati da corpuscoli politici fanatici e anacronistici; e a rabbrividire sui dati dell’aborto clandestino.
Con la ratifica a Istanbul rinunciamo a tutto questo e proviamo finalmente a ridare dignità a Fabiana, a tutte le vittime, a tutte le donne e gli uomini di questo Paese.