In questi anni la politica istituzionale ha utilizzato una grande retorica intorno ai problemi delle nuove generazioni. Retorica accompagnata da scelte che si sono dimostrate sbagliate. Adesso siamo ad un punto di non ritorno. Per cui o questo Paese decide davvero di partire dalla scuola e dall’università per compiere delle scelte nette e precise che permettano trasformazioni reali, oppure anche questa legislatura sarà ricordata – in continuità con quelle dei Governi Berlusconi e Monti – una legislatura dalle lacrime di coccodrillo. Proprio stamattina gli studenti della Rete della conoscenza hanno presentato i risultati di un referendum svoltosi dal 15 aprile al 4 maggio che ha coinvolto quasi centomila studenti a cui è stato chiesto di esprimersi sui nodi centrali del loro quotidiano formativo e la qualità della loro vita universitaria. Da questa ricerca emerge in maniera drammatica la sensazione di incertezza nei confronti del futuro a causa della disoccupazione e della precarietà lavorativa. Un tema sempre evocato ma mai affrontato dalla politica. Questo il terrore di chi studia e non sa cosa succederà dopo la fine del percorso accademico, questo il terrore di chi non si può permettere questo percorso di studi, questo il terrore di chi non ci crede più e decide di stare fermo.
I dati da questo punto di vista sono impietosi. L’ultimo rapporto OCSE per esempio disegna un quadro disastroso per l’Italia: siamo agli ultimi posti per livello di istruzione superiore ed universitaria. I diplomati sono il 44% contro la media UE del 66%, i laureati appena l’11% contro la media europea del 23%. La metà.
Strettamente legato a tali dati è l’aumento del numero dei cosiddetti NEET, giovani che non sono inseriti in percorsi di istruzione o formazione, che non hanno un impiego e che hanno smesso di cercare un’occupazione. In un quadro grave per tutto il Paese, i dati più allarmanti provengono dal Sud: lì quasi il 30% dei giovani dai 15 ai 29 anni ha smesso di sperare.
Il diritto allo studio universitario è sempre minacciato dall’insufficienza delle risorse finanziarie. Da questo punto di vista la riforma Gelimini ha fatto un vero e proprio capolavoro ha determinato molti gravi danni nell’offerta strutturale e didattica e il governo Monti ha tolto 300 milioni di euro al Fondo di Finanziamento Ordinario, la principale fonte di entrata degli atenei italiani, con il risultato che molte università sono sull’orlo del default: un rischio concreto, in assenza di provvedimenti rapidi che assegnino nuove risorse alle Università.
Tutto questo ha conseguenze molto concrete sul sistema formativo e sulla vita dei nostri studenti. Per esempio, ha come conseguenza da un lato una limitata platea di aventi diritto al sistema delle borse di studio. Dall’altro, ha fatto nascere la figura dell’ «idoneo non beneficiario», ovvero dello studente che ha diritto alla borsa secondo i criteri previsti dal bando, ma non riceve la borsa di studio a causa della scarsità dei finanziamenti nazionali. Non un fenomeno marginale: nel 2011-12 gli studenti “idonei non beneficiari” di borsa di studio sono stati 57.000. E la cifra è in costante aumento. Lo stesso discorso vale per gli alloggi, in media, l’alloggio viene garantito ad uno studente su due; e anche i servizi mensa peggiorano di anno in anno. Ci sono fenomeni di cui la politica porta gravi responsabilità: il calo drastico del 17% delle immatricolazioni o il fenomeno della fuga dei cervelli – una vera emorragia – a cui non riusciamo a mettere un freno.
Per noi dalla crisi economica si esce con più investimenti nella scuola, nell’università e nella cultura, quella stessa cultura a cui in maniera pervicace si continuano a tagliare le risorse del Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS). E’ stata nel corso di questi anni tolta la possibilità di contribuire al mantenimento e al rilancio della cultura e dell’arte italiana ed è stata impedita la fruizione a tutto ciò che a fatica continua ad esistere. Delle generazioni che non possono studiare, andare in teatro o al cinema o vedere una mostra. Generazioni condannate alla povertà e all’infelicità.
Ecco perché noi chiediamo a questo Governo di aumentare la qualità complessiva dell’istruzione pubblica, recuperando i tagli effettuati negli ultimi anni (pari a circa il 6% del suo bilancio). Di intervenire in materia di diritto allo studio per disciplinare in maniera estensiva le garanzie di accesso, specie per gli studenti più deboli e i migranti, alle borse di studio, agli alloggi, alle mense e ai trasporti; di aprire un tavolo per superare il problema del numero chiuso nell’accesso all’università.
- di aumentare i contributi per progetti, come Erasmus e Leonardo, che favoriscono la mobilità internazionale e lo scambio di esperienze;
- di assegnare al Fondo di Finanziamento Ordinario dell’Università risorse sufficienti a sostenere i fabbisogni dell’Università pubblica e comunque non inferiori a 300 milioni di euro;
- di incrementare, nell’ambito del piano nazionale della ricerca, la percentuale di PIL destinata alla ricerca e allo sviluppo, in modo da favorire il raggiungimento degli obiettivi europei entro il 2020;
Una scuola e un’università che funzionano, una ricerca libera di esprimersi, un’industria culturale efficiente, la valorizzazione delle creativitò sono la lente attraverso cui guardare al futuro. L’istruzione e la cultura non sono un costo, sono un investimento: l’unico possibile per abbattere le incrostazioni di questo Paese, rinnovare la classe dirigente e sconfiggere la crisi. Ci sono gli studenti che aspettano risposte chiare dalla politica, ci sono centinaia di migliaia di lavoratrice e lavoratori che devono tornare a essere considerate una risorsa per il Paese, lo strumento per costruire l’Italia di domani. La crisi si affronta a partire da qui. Altrimenti per l’Italia non ci sarà futuro.