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Periferie polveriera e disagio sociale: riabbracciare i territori e farsi carico della complessità

Bx6Bt69CAAA_j3hDumitrus Pradais, 52 anni, romeno, ucciso dopo una lite a Villa De Sanctis davanti a bambini e famiglie. Pietro Pace, 40 anni, ammazzato con 6 colpi di pistola da due sicari ad Anagnina. Un 61enne pregiudicato gambizzato ieri mattina in un bar di San Basilio durante un agguato. E poi Casimiro Nori ferito a braccia e gambe da alcuni colpi d’arma da fuoco qualche settimana fa; il pugile romano Marco Ricci raggiunto da due colpi di pistola esplosi da due persone in moto. Sono gli ultimi fatti di cronaca avvenuti a Roma, in quartieri che rischiano di scoppiare, tra disagio sociale, violenza e controllo del territorio da parte della criminalità organizzata.

In questi giorni i riflettori sono puntati sul quadrante che comprende Pigneto e Tor Pignattara, teatro anche delle proteste dei cittadini che hanno manifestato contro il peggioramento delle condizioni di vita nel quartiere. L’ultimo episodio stanotte: Khan Muhammad Shantad, un ragazzo pakistano di 28 anni, è stato picchiato a morte da un 17enne romano durante una lite in strada in via Pavoni.

Se da un lato è evidente il conflitto sociale in atto nella Capitale, che si lega anche ai temi dell’immigrazione e dei diritti negati, dall’altro nemmeno chi dovrebbe occuparsi della cosiddetta “sicurezza” gode attualmente di buona salute. In una città che soffre enormi problemi di emergenza abitativa è inconcepibile assistere all’utilizzo di lacrimogeni e altri modi repressivi non convenzionali durante uno degli ultimi sgomberi avvenuti in via degli Ontani a Centocelle. Sarebbe piuttosto il caso di affrontare il problema con il blocco immediato di sfratti e sgomberi e con l’abrogazione dell’art.5 del Piano casa di Renzi-Lupi, che ha cancellato con un colpo di mano la residenza e i diritti di chi occupa.

In interi quartieri romani mancano servizi primari e politiche di inclusione sociale. Luoghi in cui la concessione di diritti fondamentali – che dovrebbero essere garantiti dalle istituzioni – è diventata preziosa merce di scambio per la criminalità organizzata. Le mafie proliferano proprio in questo modo, colmando gli spazi che la politica lascia (colpevolmente) vuoti.

Il tessuto sociale di una città metropolitana non è di facile analisi; ma ai miei occhi risulta incredibile il fatto che molti giornalisti e opinionisti pensino che la questione si possa semplicemente ricondurre a due parole: degrado e insicurezza. Oggi la zona “calda” è il Pigneto e lo spaccio di droga tra le vie del V Municipio. Nessuno però allarga il campo, cercando di capire da dove arrivano questi interminabili flussi di sostanze stupefacenti. La droga non cresce sugli alberi di San Basilio o di Tor Bella Monaca; esiste una rete criminale fatta di corruzioni, collusioni e zone grigie, che coinvolge anche e soprattutto i salotti buoni della Capitale.

La droga è da sempre lo strumento principale con cui le mafie controllano il territorio. Un affare semplice che genera capitali e liquidità che, attraverso il riciclaggio, permettono ai clan di introdursi nel tessuto economico “legale”. Ed è per questo che “centro” e “periferia” sono una cosa sola. Le maxi operazioni, le confische di attività commerciali della dolce vita romana, i pesci piccoli e i grandi trafficanti, Via Veneto e la Magliana. Lo specchio di una complessità di cui bisogna farsi carico per la lotta alle mafie.

Gli abitanti del Pigneto e di Tor Pignattara in queste settimane si stanno mobilitando con tanta generosità, stanno inventando nuove occasioni di socialità e si stanno riprendendo strade ormai abbandonate all’incuria e all’ignavia. Hanno organizzato feste, concerti e flashmob come “Mamma Torpigna” per riabbracciare un territorio intero con una lunghissima catena umana. Solidarietà, rivendicazione di diritti e buone pratiche: serve insomma, come dico da tempo, un nuovo paradigma dell’antimafia che parta proprio da qui, dalla giustizia sociale. Qualcosa che con l’associazione daSud abbiamo chiamato Restart.

Roma è solo un esempio di un fenomeno che riguarda l’Italia intera, dai grossi centri urbani ai paesini. Voltarsi dall’altra parte e avere un atteggiamento negazionista rispetto alle mafie e alle trasformazioni in atto del nostro tessuto sociale ed economico si chiama semplicemente complicità. Circoscrivere dei segnali solo ad alcuni territori, siano essi “centro” o “periferia”, “Nord” o “Sud”, oltre che risultare superficiale è un grosso regalo che stiamo facendo ai clan: manovalanza a buon mercato e la creazione di una rete di welfare criminale sempre più ampia.

Stasera parlerò anche di questo a Torino, alla festa Adelante ai giardini Ginsburg di Corso Moncalieri. Il capoluogo piemontese è una città diversa da Roma, ma con dinamiche differenti, le due metropoli soffrono problemi molto simili: dai quartieri a “rischio” all’emergenza sfratti, dal controllo del territorio da parte dei clan alle maxi operazioni contro la ‘ndrangheta.