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Perché la Kyenge non deve mollare. E nemmeno noi, cara Igiaba

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In risposta alla lettera di Igiaba Scego indirizzata a Cecilè Kyenge

Cara Igiaba, A volte serve molto coraggio per dire un “no”, come ricordi nella tua lettera inviata alla ministra per l’integrazione Cecilè Kyenge. Talvolta, però, ne serve ancora di più per continuare, per ostinarsi e vincere una lotta giusta, per tentare di fare luce anche in mezzo ad una coltre di nebbia.

Nel tuo “invito” alle dimissioni della Kyenge sottolinei questioni importantissime, temi che riguardano il funzionamento di questo governo nato da un patto come dicono loro “necessario” ma già sfilacciato il giorno dopo. Un esecutivo che si rifiuta di fare una politica trasparente e che si allontana sempre di più dalle esigenze e le vite delle italiane e degli italiani. Tutto alla luce del sole, senza nascondersi. Fintamente “a loro insaputa”.

È un quadro che racconti benissimo nel tuo articolo, e che vivo quotidianamente sulla mia pelle, da deputata di Sel, in opposizione alle larghe intese. Credo che però sia un errore far sottrarre la ministra Kyenge alle sue responsabilità. Al contrario penso che, proprio per la composizione di questo governo, la presenza di Cecilè abbia reso più evidente le contraddizioni del nostro Paese, dello stato di imbarbarimento in cui versiamo.

Il Paese, sottolineo, non il Parlamento. Perché se da un lato la Lega spara le volgarità a cui ci ha abituato in questi anni, dall’altra non bisogna sottovalutare i silenzi del Movimento 5 Stelle o le loro dichiarazioni che derubricano lo ius soli, non considerandolo una priorità per l’Italia. Sostanzialmente un disconoscimento della portata sociale di questo provvedimento, del concetto di cittadinanza effettiva, di cultura politica del diritto.

La presenza della ministra Kyenge dà fastidio: basta che osi aprire la bocca che subito è un tripudio di polemiche, tutte, purtroppo, a sfondo razzista. Non è la solita polemica, dici, Igiaba. Ed è vero. Perché conosco la tua onestà intellettuale e colgo lo spirito con cui hai voluto aprire questo dibattito.

Comprendo anche quanto sia stata combattuta la scelta di scrivere una lettera alla Kyenge per domandarti il senso della sua presenza in un governo che non “rispetta la nostra intelligenza e calpesta il diritto d’asilo”. So che insieme a tante altre donne state dando vita al progetto “Giovani donne di seconda generazione“, un progetto di valore politico inestimabile che va a ricostruire una diversa semantica sull’idea di cittadinanza attraverso un linguaggio preciso e innovativo che rovescia ogni dinamica dell’integrazione assimilatoria e perciò escludente e violenta.

Ma so anche, e tu lo ricordi benissimo, come in sordina sia avvenuto il vertice Italia-Libia. Un incontro che rafforza gli accordi bilaterali stretti con Gheddafi. Accordi scellerati che continuano a far morire migliaia di migranti nel Mediterraneo, che rendono le donne ancora più prigioniere della violenza, che cancellano i diritti e fanno diventare gli uomini semplice merce.

Papa Francesco, senza Cecilè e l’apertura del suo dibattito sullo Ius soli, sarebbe maiandato a Lampedusa? Non lo so. Ma è stato un evento storico avvenuto proprio perché abbiamo rimesso al centro la questione dei migranti.

Le polemiche pretestuose e razziste sul lavoro della Kyenge non aiutano l’iter legislativo dello ius soli, perché questo atteggiamento è esattamente la modalità preferita dai partiti per immobilizzare tutto. Ma lo ius soli pone comunque l’Italia davanti allo specchio; dal punto di vista culturale e sociale la presenza di Cecile rappresenta la possibilità di doverci fare i conti per forza. Ritengo che la debolezza politica sia invece la resa a queste polemiche: mollare o silenziarsi per non far traballare equilibri già precari della maggioranza Pd/Pdl. Quello che posso assicurarti è che non la daremo vinta ai leghisti e agli atteggiamenti xenofobi e beceri. Dobbiamo tutti insieme fare uno scatto in avanti, e far sì che in Italia non ci sia una Marine Le Pen.

Tu scrivi che bisogna dire di “no”. Come Rosa Parks quando rifiutò di lasciare il suo posto a sedere. Io penso invece che la ministra Kyenge vada supportata ed essere invitata a parlare sempre di più. Dire “sì” e dirne tanti, come Martin Luther King.

Credo che vada fatta una riflessione su come possiamo rilanciare anche gli altri temi che attraversano il mondo dei migranti. Un linguaggio ormai usurato da slogan che circolano da dieci anni e che non hanno portato a nessun passo avanti rilevante per le loro condizioni di vita. “È tutto sbagliato, è tutto da abrogare in tema di migrazioni”. Ma mentre si fa la rivoluzione io vorrei che intervenissimo qui e ora.

Perché qui e ora si pratica la tortura nei Cie, qui e ora i minori non accompagnati si devono sottoporre a visite ridicole per la certificazione dell’età (con il rischio, già avvenuto, che minorenni siano gettati nei Cie), qui e ora c’è lo sfruttamento nei campi e il caporalato della criminalità organizzata, qui e ora le badanti sono schiave dentro le nostre case, qui e ora la tratta devasta la vita delle bambine e delle ragazze. Allora due cose su cento. Il meno peggio? Forse, anzi sicuramente “sì”.

IGIABA SCEGO