La mafia non è un destino inevitabile, non è qualcosa con cui bisogna convivere. Nel corso del tempo, tanto si è prodotto in termini di contrasto al fenomeno. Per opera della magistratura e delle forze dell’ordine, per opera della politica e della società civile. A tal punto che presuntuosamente in alcune fasi ci si è permessi il lusso di abbassare la guardia e di credere che si potesse vivere di rendita.
Da questo punto di vista, la politica istituzionale ha grosse responsabilità: un po’ per incapacità e un po’ per mancanza di credibilità. Quante volte retoricamente in Parlamento si è fatto ricorso alle parole di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, senza aggiungere nulla in più a quel ricordo. O ancora quanto giustizialismo è stato sbandierato al solo scopo di intercettare la pancia dei cittadini stanchi e delusi.
A questo si somma, purtroppo, la mancanza di credibilità accumulata negli anni dai partiti. Tutti, da destra a sinistra. I fenomeni di corruzione, di contiguità e in alcuni casi le dirette emanazioni dei clan all’interno delle liste elettorali hanno danneggiato in maniera drammatica il ruolo istituzionale nel contrasto alle mafie.
Allora la “delega” è sembrata l’unica soluzione praticabile: abdicare al proprio ruolo e sostenere in forme diverse il lavoro fatto da altri. Questo meccanismo non ha prodotto solo guasti alla politica, ma ha danneggiato anche il movimento antimafia e quelle figure a cui è stata affidata una sorta di certificazione sulle attività della politica. Così scopriamo con sgomento di magistrati che hanno costruito carriere sul contrasto del fenomeno essere addirittura a disposizione delle cosche, vediamo un associazionismo falso e contaminato e scopriamo veri e propri comitati d’affari intorno al business dell’antimafia.
Saremo chiamati a riflettere su tutto questo prima o poi, e mi auguro che ci sarà quello che non c’è stato in passato e cioè: più politica.
Non solo quella settoriale, però. Ma quella trasversale. Quella che parla di scuola pubblica perché il diritto allo studio sottrae menti alla criminalità organizzata; quella che parla di periferie, lavoro e di reddito minimo garantito perché non vivere in una condizione di povertà significa sottrarre manovalanza alle mafie; quella che parla di ambiente perché dire no al Ponte sullo Stretto non è solo una questione di priorità rispetto a una città come Messina rimasta senza acqua o una città come Reggio Calabria che sprofonda nel fango.
Ieri invece abbiamo approvato la Riforma del codice antimafia, una riforma importante, grande, complessa la cui centralità ci parla senza ombra di dubbio della legge più bella ed efficace della storia della Repubblica e cioè la Rognoni-La Torre. La legge che, per la prima volta, ha posto in maniera netta la questione economica dei clan e ha proposto di colpirli esattamente nei loro beni restituendoli alla collettività. Da questo punto di vista la legge ha raggiunto l’obiettivo: ancora adesso, a distanza di così tanti anni, le mafie non si rassegnano a vedersi sottrarre le proprietà e vederle riutilizzate a fini sociali. Non è un caso se le cooperative che operano nei loro locali, terreni, aziende sequestrate e confiscate subiscono ciclicamente attentati di varia natura.
Allora il punto che andava integrato a questa intuizione vincente, e che si è potuto comprendere solo grazie all’esperienza, è come sostenere le cooperative che a fatica cercano di svolgere la propria attività nella legalità e nella trasparenza. Troppa solitudine, troppe minacce, troppe difficoltà intorno a loro. A Quindici come a Gioia Tauro; a Bari come a Corleone le problematiche che si rincorrono sono sempre le stesse. Si è provato con questo testo ad andare incontro a queste esigenze come si è cercato di rendere più trasparente un meccanismo di assegnazione che fino ad adesso non lo è stato abbastanza. Il ringraziamento di questo risultato va ai soggetti che hanno proposto la legge di iniziativa popolare: Libera, Arci, SOS impresa, Acli, Centro Studi Pio La Torre.
Abbiamo lavorato alla pubblicazione on line di tutti i beni presenti sul territorio e ad una riforma delle agenzie che se ne occupano. Abbiamo prodotto misure di sostegno alle aziende, quel sostegno che non arriva dalle banche: non è il Parlamento a poter stabilire l’accesso al credito e a misure agevolate per le cooperative che operano sui beni confiscati però una domanda nasce spontanea: perché tanta leggerezza e disponibilità con figure poco pulite e chiusura nei confronti di chi rischia la vita per mandare un messaggio che parla anche di noi?
Quei campi sono coltivati con passione e legalità. L’esatto contrario di quello che succede con lo sfruttamento del lavoro migrante attuato dal caporalato. Rosarno, Castelvolturno, Nardò, Asti. È lungo l’elenco e lo conosciamo da tempo. Pensavamo quest’estate che, nell’anno di Expo, quel decreto annunciato dopo le morti registrate nei campi segnassero la fine della complicità a quel sistema. Purtroppo il decreto non è arrivato ma grazie al nostro impegno e a quello di Terra Onlus, daSud e TerreLibere.org che hanno prodotto il rapporto “Filiera sporca”, sono state inserite alcune misure fondamentali al contrasto al caporalato.
È inutile dirlo, avremmo potuto fare di più ma non vi è dubbio che il voto di ieri sancisce un miglioramento del codice antimafia e una presa in carico di una situazione inaccettabile che andava recuperata da tempo. È una possibilità per i soggetti che la subiranno e che ne usufruiranno, è la possibilità per la politica per ritornare ad avere un ruolo nel contrasto alle mafie. Un voto dato ai volti e alle storie sane di questo Paese. Un voto che ci dà la forza di credere che se ognuno di noi prova a fare la sua parte, la mafia come tutti i fatti umani ha avuto un inizio ma avrà anche una fine.