Siamo fuori categoria, troppo giovani per essere un problema sociale, troppo adulte per essere un problema politico. Noi in maniera informe, spalmate dappertutto, stiamo dall’una e dall’altra parte, cercando di trovare un equilibrio che con il passare del tempo diventa sempre più precario. Lo è nella vita lavorativa, lo è nella condizione esistenziale. A trent’anni la tua vita e il tuo corpo subiscono dei cambiamenti, simbolici e reali. Fino a qualche decennio fa quest’età rappresentava nell’immaginario collettivo il passaggio definitivo alla maturità. A trent’anni eri sicuramente una lavoratrice, una moglie o una madre. O, meglio ancora, tutte e tre le cose insieme.
Di quel passaggio fatidico che ti permetteva anche di vivere bene la trasformazione del tuo corpo, non è rimasto praticamente nulla. Sei lì nel mezzo della precarietà perché lì ti hanno lasciata insieme alle ventenni e alle quarantenni, tutte con lo stesso problema, con lo stesso obiettivo ma in una condizione di partenza molto diversa. Le ventenni hanno lo status di “giovani”, le quarantenni di “adulte”, le trentenni in questo Paese vecchio e stantio sono “le giovani adulte”. La fregatura per eccellenza. Ti accorgi per la prima volta, chi in maniera lieve chi in maniera esasperata, che certe cose non ti si addicono più. “Tu” è diventato “lei”, “ciao” adesso è “buonasera”, “bella”, come qualsiasi altra espressione confidenziale, si è trasformato in “signora”. Eppure non hai fatto niente per meritarti questo gradino evolutivo, non hai fatto nessun passo in avanti: sei sempre lì. Chi l’ha fatto è il tuo corpo, la tua pelle, la tua espressione del viso non la tua vita. Tutto questo avviene con conseguenze molto forti sulla propria emotività, il proprio modo di concepirsi e i rapporti personali.
Prima di tutto un grande senso di frustrazione: la maggior parte delle trentenni di adesso ha vissuto un’infanzia e un’adolescenza serena. Abbiamo avuto la possibilità di studiare, di crescere in un ambiente meno faticoso e culturalmente più avanzato. Per noi, grazie alle conquiste passate, in maniera consapevole e non, era ben chiaro il concetto di autodeterminazione. Siamo andate avanti fino alla metà degli anni 90 con l’idea che se ci fossimo laureate avremmo lavorato e che saremmo state autonome e indipendenti. E pensavamo di poter costruire una famiglia. Quando ci siamo ritrovate fuori dall’università arrabattandoci tra un master, un lavoretto part-time o un call center non ci siamo lamentate perché tutto sommato non era male prolungare lo stile di vita da studentessa. Sembrava ancora un’altra fase di passaggio, facevi finta di essere rimasta lì e nessuno se ne accorgeva: intanto perché eri in buona compagnia e poi perché la differenza tra te 25enne fuori corso e una 20enne al secondo anno di università non era così tanta. Il problema lo avverti poco alla volta. Inizi a stancarti di vivere in casa con i tuoi genitori o in una stanza condivisa con minimo altre due persone. Ti devasta dover chiedere aiuto, chiedere prestiti, fare debiti con chicchessia. I desideri sono ridotti all’osso, il tuo budget lo devi utilizzare per la sopravvivenza. Se non lo fai, lo pagherai il mese o la settimana o il giorno successivo. In questo stato d’emergenza costante, le reazioni purtroppo ci fanno fare enormi passi indietro nel percorso di consapevolezza del sé.
Anche l’uomo è vittima della precarietà, anche lui vive una dimensione di crisi e una ricerca spasmodica di stabilità nell’instabilità. Così anche il sesso, quando non è inserito dentro un rapporto amoroso, diventa un problema. Gli uomini si sentono spiazzati se tu vuoi solo avere un rapporto di quel tipo, ma viceversa sono terrorizzati se pensano che tu da quel momento in poi li ingabbierai. Nel primo caso è come se ti dicessero: ma a trent’anni fai ancora la ragazzina? Nel secondo, ha trent’anni, non vorrà più fare la ragazzina ed io invece voglio continuare ad essere un ragazzino.
Se invece le relazioni pregresse durano nel tempo, la situazione si fa ancora più drammatica perché hai la necessità di fare un salto di qualità nello stare insieme, di costruire qualcosa di comune. Le trentenni di oggi o hanno maturato tutto in una volta un incontenibile desiderio di maternità oppure hanno semplicemente paura di non poterlo realizzare mai più, tanto le loro vite le vedono senza futuro. E gli uomini, per certi versi, non sono messi meglio.
(pubblicato sul numero di “Leggendaria”, Giovani guerriere.)