Dispiace leggere le dichiarazioni scomposte dell’attore e regista Gabriele Lavia sugli occupanti del Valle. Oggi si può immaginare una vita nuova per il Teatro Valle grazie a quei giovani artisti che si vuole spacciare – per stare al linguaggio demodé di Lavia – per “scalmanati”. Perché non si continua a dire quale fosse il rischio per quel teatro? Nella migliore delle ipotesi sarebbe rimasto chiuso; nella peggiore si sarebbe potuto trasformare in un supermercato. La caparbietà e la passione per un mestiere ha portato degli artisti a farsene carico.
Da un anno, cioè da quando grazie alla loro azione politica che ha portato alla nascita della Fondazione Teatro Valle bene comune, l’interesse intorno a quel teatro è tornato, tutti gli addetti ai lavori gridano allo scandalo e cercano di ridimensionare o sbeffeggiare un’esperienza virtuosa che ha dato la possibilità a chi non era mai entrato in un teatro di farlo e di poter vedere spettacoli meravigliosi. Altro che partite di calcio!
Ieri dopo tre anni di lavoro gli occupanti si sono detti disponibili ad andare via. Non pongono questioni di gestione diretta, ma chiedono che vengano rispettati i principi che hanno praticato fino ad adesso nel loro modo di intendere il teatro: formazione continua delle maestranze, rispetto dei diritti dei lavoratori, biglietti a prezzo accessibile, turnazione della direzione artistica. Questo gruppo di ragazze e ragazzi, da una condizione di precarietà e vivendo la fase storica più buia in termini generazionali, ha fatto quello che avrebbe dovuto fare Lavia in una condizione di forza. Perché proprio lui, dall’alto della sua esperienza e delle sue direzioni artistiche, si sarebbe dovuto mettere a fianco di chi sta tentando di avviare un ricambio generazionale e salvaguardare degli spazi e dei lavoratori della cultura.
Invece ci ritroviamo, ad oggi, un settore completamente bloccato: direzioni artistiche che durano trent’anni, i soliti uomini al comando dei teatri stabili che si scambiano i posti, le stesse produzioni teatrali, lo sperpero di denaro pubblico, i nepotismi e i privilegi in un settore che è al minimo storico in termini di fruizione e che rischia di scomparire.
Il pregio dei soci della Fondazione Teatro Valle è che non chiedono un pezzetto di questo privilegio ma pongono dei temi a favore di tutta la loro generazione e per quelle future. Perché proprio oggi siamo gli unici in Europa a non vedere riconosciuti le professioni e i diritti dei lavoratori della cultura. Queste energie andrebbero spese in questa direzione anziché per fare la guerra a chi oggi ha permesso, mantenendo aperto il Teatro Valle, di poter discutere della sua gestione pubblica.
Grazie quindi alla maturità degli occupanti e grazie all’amministrazione di Roma che saprà individuare insieme alla Fondazione il percorso giusto per questa esperienza. Nell’ottica di preservare e rilanciare un bene comune – come d’altronde è già emerso dagli impegni dichiarati dell’assessora Marinelli – e sottraendosi a pressioni di un mondo che guarda sempre al passato e non al futuro della cultura di questo Paese.