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La Sinistra che serve

20140527213585730600La situazione politica del partito ci ha indotto a scrivere un contributo per portare un punto di vista utile a sviluppare e liberare la discussione. È stato presentato ieri al coordinamento nazionale per favorire i lavori dell’assemblea di domani. In tanti ci avete chiesto di pubblicarlo. Eccolo.

Premessa
Questo contributo non vuole essere né una prima né una seconda né una terza posizione. Non è l’annuncio di una corrente né tantomeno di una mozione. Il dibattito dentro Sel è una cosa seria, riguarda il suo destino, ma anche il futuro di una parte rilevante del patrimonio civile e morale della sinistra italiana. La nostra discussione non va banalizzata come uno scontro di potere tra gruppi dirigenti, il cui cambio non è, e non deve essere, all’ordine del giorno. Tuttavia, essa va riportata dentro il binario giusto: quello della battaglia delle idee che viene prima di ogni scelta o posizionamento. Noi pensiamo che oggi ci sia bisogno di un dibattito franco e leale che metta al centro innanzitutto la nostra prospettiva. Senza nascondere i limiti enormi che hanno contraddistinto l’efficacia della nostra azione. Siamo dirigenti, parlamentari, militanti che hanno condiviso da anni un percorso difficile: nessuno può dirsi immune da responsabilità o errori. Tuttavia, crediamo sia giusto ricominciare da noi. Senza immaginarci come la soluzione alla crisi della sinistra che attraversa l’Italia e l’Europa. Ma sapendo che ancora una volta da noi può arrivare una risposta utile per cambiare il segno della politica e della vita.

La sinistra che vogliamo
Le elezioni europee ci consegnano un quadro profondamente cambiato della geografia politica italiana e europea. In Europa si affermano formazioni dell’estrema destra o populiste che guadagnano consensi a danno dei partiti tradizionali, e monta in maniera preoccupante una marea nera in cui riprendono fiato le peggiori pulsioni xenofobe e razziste. Anche il Pse paga le politiche rigoriste e non batte il Ppe, tracollando addirittura nella Francia del Presidente Hollande. Il fronte progressista viene salvato soprattutto dal risultato straordinario del Pd in Italia: il partito di Matteo Renzi sfonda la quota del 40% anche grazie alla polarizzazione di una campagna elettorale in cui è apparso a molti il principale argine democratico contro un Beppe Grillo che è andato fuori controllo nel rapporto con interi strati sociali del paese, che lo avevano identificato come una speranza di rottura con classi dirigenti impotenti e moralmente screditate. Il Pd oggi si autodefinisce come partito della nazione: una forza tranquilla capace di prosciugare l’intero elettorato centrista, mettendo radici in vaste aree del paese tradizionalmente distanti dal centrosinistra. Si sbaglia a liquidare il Pd come la nuova Dc, perché pur essendo la forza centrale di stabilizzazione del sistema politico, il voto consegnato a quel partito è attraversato da molteplici spinte innovative e di cambiamento. Il voto punisce nettamente il M5s, che rimane una forza significativa, e premia il nuovo corso antieuropeista della Lega di Matteo Salvini. Entrambi tuttavia si caratterizzano come forze anti sistema e scelgono il fronte euroscettico con l’alleanza strutturale con Farage e Le Pen, i due volti nuovi del populismo continentale. La destra sconta il declino del berlusconismo e l’incapacità di rilanciare un blocco sociale che oggi guarda altrove e sceglie di rifugiarsi nell’antipolitica o nell’astensionismo.

In questo panorama il risultato della lista “L’Altra Europa per Tsipras” rappresenta oggettivamente una conquista, soprattutto se si pensa alla difficoltà di veicolare in campagna elettorale un simbolo nuovo e una proposta politica che guardava all’Europa, mentre in Italia sembrava giocarsi un derby interamente locale. Questo risultato è il frutto di una piattaforma politica riferita al contesto per cui eravamo chiamati al voto ed anche dall’immaginario rappresentato dal leader che nel proprio Paese si è legittimato come l’alternativa democratica alle politiche di austerità.

Abbiamo sostenuto la candidatura di Tsipras alla presidenza della Commissione europea, scegliendo di incalzare il Pse da una prospettiva meridiana: dalla Grecia, dal Sud, dal Mediterraneo. Questa strada va alimentata culturalmente e praticata politicamente: solo un’alleanza anti austerità delle forze progressiste e democratiche potrà salvare il continente dallo sgretolamento istituzionale e dal fallimento di un modello sociale che ha garantito per mezzo secolo pace e benessere.

Il voto europeo conferma anche due tendenze che già si erano evidenziate nelle passate tornate elettorali: la volatilità del voto e l’astensionismo elettorale. Per la prima volta in Italia, ha votato meno del 60% degli aventi diritto. Crisi della rappresentanza e crisi sociale continuano ad avvitarsi. I dati sulla disoccupazione, che nei primi tre mesi del 2014 ha raggiunto la cifra record del 13,6%, cioè di quasi tre milioni e mezzo di persone, e l’incapacità del governo Renzi di costruire un’agenda che metta al centro una nuova stagione di politiche di sviluppo, ci dicono che il quadro che esce da questo voto non è affatto stabilizzato. E che la crisi costringerà a scelte dure.

Bisognerà scegliere in quale direzione portare l’Italia e l’Europa. Sinistra ecologia e libertà deve decidere cioè se e come essere utile, come far vincere le ragioni di un cambiamento necessario. Crediamo ci sia ancora bisogno di Sel, della sua cultura politica, del suo riformismo radicale. Sel deve ritrovare la sua ragione d’essere: è un soggetto originale, frutto del matrimonio tra le ragioni del lavoro e dell’ambiente, che si è sempre pensato come non autosufficiente e al servizio di un campo più largo e di un progetto di ricostruzione della sinistra in Italia. La sua funzione storica resta questa. Una soggettività politica che è nata per ricostruire una sinistra collocata nel tempo di oggi. Questa accumulazione di culture e pratiche è oggi protagonista di tante esperienze di governo, dal modello pugliese alle amministrazioni di grandi città come Milano, Genova, Cagliari. È un’esperienza che parla di diritti civili, garantismo, tutela del territorio, centralità della questione morale, nuovo welfare universale, a partire dal reddito minimo. È questo il terreno dell’innovazione che va arato e perseguito, fuori da logiche attente solo ai posizionamenti tattici o all’occupazione degli spazi aperti dalle geometrie variabili degli assetti politici dati.

C’è bisogno di un salto di qualità nella nostra capacità di produrre iniziativa politica, di radicamento sociale e territoriale, di competizione sulle idee nello spazio progressista, di ricostruzione di legami sociali spezzati. È tempo di riaprire una nuova partita e solo Sel lo può fare.
Vogliamo mettere a disposizione il patrimonio politico e culturale di Sel di un campo che è più largo del 4% ottenuto dalla lista, valorizzando tutte le esperienze di movimento e di impegno civile che hanno riconosciuto in Alexis Tsipras un simbolo del cambiamento possibile in Europa, ma siamo assolutamente contrari a nuove costituenti e nuovi contenitori da inventare. L’iniziativa politica deve divenire il terreno comune da condividere per riaprire un confronto con la società. SEL deve convocare entro l’estate un largo appuntamento di discussione capace di coinvolgere le soggettività attive della sinistra anche diversamente collocate nell’ultima contesa elettorale. La lotta politica verso chi nella nostra area immagina che i partiti siano un intralcio, che le alleanze siano un cedimento, che la sinistra ha un senso solo se si separa dall’ambizione di governare i processi, va condotta senza timidezza e senza subalternità. Nessuno di noi ha fatto una lunga traversata nel deserto, dopo la sconfitta della Sinistra Arcobaleno, per ripercorrere sentieri già battuti.

Sel si colloca all’opposizione del governo Renzi: non sono venute meno le ragioni per restare fuori dall’area del governo delle piccole larghe intese. La nostra sfida deve essere quella di rovesciare gli attuali equilibri politici che governano il Paese e riaprire le ragioni di un’alleanza sociale e politica che non può essere la riedizione di Italia Bene Comune, ma una rinnovata sfida tesa alla costruzione di un campo largo capace di costruire la coalizione del futuro. La nostra battaglia in Parlamento deve essere ferma e di merito. A partire dal lavoro, dove il Pd ha scelto di continuare sulla strada della deregulation e della flessibilità, che aveva contraddistinto il pensiero unico dell’ultimo ventennio. Allo stesso tempo, occorre incalzare Renzi sui temi caratterizzanti della sua campagna elettorale per le primarie, come per esempio lo Ius Soli o le unioni civili. In ogni caso, è attraverso l’analisi degli atti concreti che si potrà offrire un giudizio articolato sulle politiche di questo Governo dei prossimi mesi. Se ci saranno cambiamenti che vanno nell’ottica del miglioramento delle condizioni di vita delle persone l’esecutivo troverà, come è sempre stato, un partito capace di valutare senza pregiudizi le sue proposte. Il decreto Irpef, per quanto parli ad una platea ancora troppo limitata e per quanto tra le coperture ci siano per l’ennesima volta tagli drastici agli enti locali, rappresenta una prima misura di redistribuzione fiscale che va sostenuta. Allo stesso tempo Sel deve essere pronta a incalzare positivamente l’esecutivo per costruire un’agenda per il prossimo semestre europeo che metta al centro il superamento del Patto di Stabilità ed una nuova stagione di investimenti pubblici per l’occupazione e lo sviluppo. Non va taciuta la nostra preoccupazione enorme rispetto al cammino delle riforme istituzionali, che pur necessarie, restano lo spazio di un compromesso indicibile tra Renzi e Berlusconi e che rischiano di condurre l’assetto democratico in un vicolo cieco, escludendo dalla rappresentanza parlamentare milioni di cittadini. Così come va rilanciata una battaglia senza quartiere alla corruzione, alla commistione tra affari e politica, che oggi colpisce trasversalmente ogni angolo della vita pubblica e che segna un elemento di arretramento del sistema-paese sia sul piano della credibilità sia sul piano dell’attrazione di investimenti. La questione morale torna ad essere la cifra principale che regola i rapporti politici, sociali ed economici in questi paese. Non bisogna avere paura di porla e di denunciarla, anche quando essa investe i nostri naturali interlocutori.

La politica ha perso credibilità in questi anni anche perché non è stata capace di rispettare gli impegni annunciati. Per una lista che si proponeva “altra” e che si poneva in netta alternativa alla politica esistente in maniera esasperante (tant’è vero che non si è data l’opportunità di candidarsi a figure che avevano già fatto esperienze istituzionali) la scelta di Barbara Spinelli di non cedere il seggio come aveva annunciato in campagna elettorale, non fa altro che alimentare questa sfiducia. Fortunatamente altri soggetti in carne ed ossa sono riusciti invece a preservare lo spirito di questa lista ed è con loro che bisogna continuare a discutere e promuovere iniziativa politica.

Sel ha ancora un senso se mette al centro queste riflessioni, se riprende a pensarsi in grande, se elabora il lutto della sconfitta di Italia Bene Comune e ricostruisce le condizioni di una alternativa di governo possibile. Saremo utili alla sinistra se saremo utili al paese.