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La mia visita all’Opg di Aversa. Un “non luogo” di sofferenza che il governo tiene ancora in vita

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Dopo la scelta del governo di prorogare per un altro anno gli ospedali psichiatrici giudiziari, ho visitato, con la mia collega Ileana Piazzoni, l’Opg di Aversa, dove sono reclusi 145 infermi mentali. Una terra di mezzo tra carcere e manicomio, su cui non ho intenzione di raccontare la buona volontà di chi vi opera o le condizioni che ho riscontrato perché la verità è che questi “non luoghi” non possono né migliorare né peggiorare perché semplicemente è insensato che esistano. Non sono ospedali, non sono carceri, non sono case di cura eppure ad Aversa quando parlavo con il comandante della polizia penitenziaria si rivolgeva agli infermi mentali come “detenuti”; il direttore sanitario li chiamava “pazienti”; per la direttrice della struttura erano “internati”.

Gli Opg in Italia sono sei: Barcellona Pozzo di Gotto in Sicilia, Aversa e Napoli Secondigliano in Campania, Montelupo Fiorentino in Toscana, Reggio Emilia in Emilia Romagna, Castiglione delle Stiviere in Lombardia. Ospitano attualmente 1.051 persone che soffrono sulla pelle un vero e proprio inferno.

Io penso semplicemente, come tanti altri che hanno in questi anni chiesto la loro abolizione, che gli Ospedali psichiatrici giudiziari siano strutture dove non c’è spazio per i diritti. Condivido le ragioni del comitato StopOPG quando sostiene che l’ospedale psichiatrico giudiziario sia un istituto inaccettabile per sua natura, per la incoerente legislazione che lo legittima, per le sue regole d’organizzazione, viziate da vecchie concezioni della malattia mentale e della psichiatria. Infatti più di un terzo dei reclusi, a detta di chi opera in queste strutture, potrebbe già uscire adesso e riavere, con la dovuta assistenza, una vita quotidiana individuale e sociale.

Invece più di mille persone sono state nuovamente condannate dall’ultimo decreto legge del Governo che proroga la chiusura definitiva degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) al 1° aprile 2015. Una proroga che aumenta ancora le sofferenze dei reclusi e che calpesta il loro diritto ad una vita dignitosa.

A poco serve il rammarico espresso in primis dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, e da esponenti del Governo dopo questa scelta a detta di tutti “inevitabile”. E a poco serve lo scaricabarile a cui stiamo assistendo in questi giorni. Da una parte il governo che dice che è tutta colpa dei ritardi delle Regioni nella costruzione delle strutture per l’esecuzione delle misure di sicurezza. Dall’altra parte le Regioni che non sono state messe materialmente in condizione di rispettare la scadenza stabilita: le risorse sono state disponibili solo alla fine del 2013 e tra burocrazia, appalti e lavori le “residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza sanitaria” (Rems), con capienza di 20 posti ciascuna, potrebbero essere pronte in un lasso di tempo che va dai 6 ai 25 mesi. Complicato fare più in fretta. Ma il rischio è che i termini di questa nuova proroga possano essere disattesi, innestando così un circolo vizioso di ulteriori rinvii.

La scelta del governo però dimostra ancora come sia stata barattata la disperazione e la sofferenza degli internati con la realizzazione di nuove strutture pubbliche. Al contrario della proroga dello scorso marzo 2013, il nuovo rinvio inserisce dei requisiti più rigidi, come il dovere del giudice di verificare se invece del ricovero in Opg possa essere adottata una diversa misura di sicurezza e la previsione dell’intervento sostitutivo dello Stato che, nel caso di nuovi inadempimenti della Regione, potrà nominare un commissario per concludere i lavori di realizzazione e riconversione delle strutture.

Il governo dice che bisogna aspettare ancora la costruzione delle opere pubbliche per cui sono stati stanziati più di 170 milioni di euro. Saranno delle comunità con la vigilanza esterna e infermieri presenti giorno e notte. “In pratica dei nuovi manicomi – dicono i sostenitori di StopOpg – strutture in cui eseguire misure di sicurezza, di custodia, anziché dare forza alle alternativa”. Chi assicura in effetti che le nuove strutture non saranno altro che manicomi giudiziari di piccole dimensioni? Le condizioni di vita degli internati e degli operatori sono inevitabilmente destinate a peggiorare considerando come la maggior parte delle risorse saranno destinate al completamento delle nuove strutture. Per scongiurare ciò lavoreremo in sede di conversione del decreto.

Bisogna piuttosto garantire il reinserimento sociale dei pazienti attraverso progetti terapeutico-riabilitativi individuali e redigere finalmente un grande piano nazionale di assistenza ai malati mentali reclusi negli Opg. Invece di puntare tutto sulle nuove strutture è necessario che le Regioni potenzino i Dipartimenti di Salute Mentale ed elaborino percorsi per trasferire pazienti in comunità meno protette o in casa, ove possibile, rafforzando l’assistenza domiciliare. Solo con queste azioni possiamo chiudere una pagina oscena della storia di questo Paese.

Del superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari parleremo venerdì 11 aprile 2014 allo Spazio daSud a Roma durante la presentazione del libro “Un consapevole impossibile amore” della psichiatra e psicoterapeuta Maria Rosa Bianchi, insieme al dirigente medico Irene Calesini e il giornalista Luca Sappino.

(foto www.gianlucapulcinifoto.com)