Ci hanno abituati a pensare che quando si parla di politica e di economia alcune parole, alcuni aggettivi debbano essere banditi. Così, paradossalmente, i più importanti saperi che si occupano della vita sono quelli che per antonomasia non utilizzano un linguaggio “umano”. Sembra quasi che il rimando all’esistenza individuale e collettiva abbia il sapore di poca serietà.
Non a caso il metallico Governo Monti risulta essere così autorevole e sobrio anche per la freddezza dell’espressione che lo accompagna. Questo segnala, ancora una volta, la vecchiezza di una classe dirigente che ha una totale mancanza di consapevolezza del reale, di analisi del contesto sociale in cui si trovano ad operare. E che non ha imparato nulla dall’elaborazione politica prodotta in tanti anni dalle donne e dai movimenti lgbtq.
Ecco perché spesso l’arma utilizzata per screditare Nichi Vendola è proprio quella di puntare l’indice contro la sua “modalità” linguistica. Per questo viene etichettato come poeta, e non politico. Per denunciare il fatto che affronterebbe temi importanti per il Paese con un linguaggio poco consono o che ridurrebbe tutto a retorica dialettica inappropriata a fronteggiare la serietà di un momento storico così drammatico. E invece è proprio la drammaticità della fase che dovrebbe obbligarci a rimodulare l’espressione politica. A quella dovrebbe seguire l’azione, i provvedimenti da prendere per andare incontro a un’altra parola che porta con sé una grande pesantezza reale: povertà.
La povertà è una parola scomparsa dal dibattito pubblico di questo Paese, da molti anni. Prima – a cavallo tra gli anni 80 e 90 – perché si riferiva a una sacca sociale circoscritta, poi negli ultimi anni perché è stata sostituita erroneamente con un’altra parola: precarietà. Per un momento probabilmente le cose sembravano coincidere, ma con il perpetuarsi e il radicalizzarsi della crisi, e con politiche che hanno colpito ceti sociali medi e già impoveriti, oggi queste due parole ci parlano di condizioni diverse. C’è stato lo sforzo di attribuire la precarietà non solo a una dimensione generazionale di per sé larga, ma di considerarla come categoria esistenziale e non solo occupazionale trasversale alle età.
Oggi però la realtà ci offre un quadro che supera questa analisi. Oggi in Italia, e in Europa, siamo in presenza di sacche enormi di disoccupazione o di stipendi talmente bassi da non poter garantire neppure le condizioni minime di sussistenza. E questo accade soprattutto negli spazi metropolitani, dove la vita è più cara – dagli affitti ai beni di prima necessità – la povertà si sta ingrossando sempre di più. Gli anziani per esempio che, come racconta il Corriere della sera, vivono con pensioni sempre più falcidiate sono in preda “all’ansia da stress per crisi e aumento del rischio cardiovascolare”. In poche parole, vivono nel terrore, vanno meno dal dentista perché i costi sono eccessivi e corrono persino il rischio della malnutrizione. E non sono i soli, visto che, sempre sul Corriere della sera, leggo un altro articolo dedicato ai “suggerimenti per i tanti che mangiano poco e male pur di far quadrare i conti”. Insomma una sorta di manuale della sopravvivenza. Il vademecum del naufrago. Dieci consigli per non morire di fame.
Come si definisce una crisi così? C’è un termine “tecnico” in grado di riportarci minimamente alla portata di questa tragedia? E ci sono aggettivi freddi, “seri”, responsabili per definire le politiche di diseguaglianza sociale che questo Governo ha messo in campo?
Probabilmente no. Per questo penso che la sinistra debba ripartire dalla consapevolezza della realtà e dalla capacità di nominare le cose. Questa crisi non è solo sistemica e globale, ma è per esempio crudele. E purtroppo la crudeltà è diventata a pieno titolo una categoria politica. Una categoria di cui il Governo Monti si sta avvalendo a piene mani.
Nelle analisi avanzate nelle primarie di centrosinistra ho continuato a riconoscere in Nichi Vendola questa capacità – non di poetare ma di fotografare – e poi ho scoperto in Pier Luigi Bersani la promessa di operare partendo da quella disperazione, dalla vicinanza di quello sguardo. Questo il senso di un’alleanza che si deve preparare a governare l’Italia.
Qualche giorno fa è morta Isabella Viola, una donna che faceva parte di quel popolo di sconosciuti di cui parlavo prima. È morta colpita da un malore su una banchina della metro A di Roma. È morta a 34 anni di fatica, di stenti. Forse qualche tempo fa avrei detto non piangiamo, non commoviamoci per questa vittima del sistema ma indigniamoci, rivendichiamo quei diritti che ad Isabella sono stati strappati via. Oggi invece riconfermo l’indignazione e l’impegno politico, ma credo anche nella necessità di recuperare un sentimento umano che sembra scomparso anche dalla cosiddetta società civile.
In questo la responsabilità risiede anche in chi in questi anni difficili ha incoraggiato movimenti populisti che non fanno altro che abbrutire ed esternare gli aspetti deteriori dello star male. Il movimento Cinque stelle è nocivo in questo Paese quanto il Governo Monti. Il centrosinistra si troverà a fronteggiare tutto questo.