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Iniziamo dalla povertà

 

periferie

Sono d’accordo con chi sostiene che non bisogna farsi guidare dall’ “antirenzismo”. Non lo paragonerei affatto all’antiberlusconismo, ma colgo comunque il pericolo di uno schiacciamento culturale che non ci consentirebbe di fare passi in avanti. Mi permetto però di evidenziare che anche l’antigrillismo non ci fa bene.

Noi oggi ci dovremmo concentrare, in maniera autonoma, sulla politica: lotta alle disuguaglianze sociali e difesa della democrazia.
Il referendum costituzionale è lo strumento con cui adempiere al secondo punto, ancora non abbiamo elaborato un piano serio che intervenga sul primo, cioè sulla povertà.

Ragioniamo di questo. C’è la necessità dell’introduzione di un reddito minimo garantito, ma abbiamo bisogno anche di ripensare il mondo del lavoro. Non possiamo più mutuare la nostra politica dal Sindacato e non possiamo più cavarcela citando le esperienze di coworking e di startup in giro per l’Italia. Questo è un pezzo importante, ma che non copre tutto. I laureati nel nostro Paese diminuiscono vertiginosamente e il sistema “meritocratico” (questo sì teorizzato sia da Renzi che da Di Maio) taglia fuori un pezzo largo della popolazione che sinceramente non ce la fa a raggiungere gli standard richiesti.

C’è posto in questo Paese per chi ha una licenza media? Ha diritto a lavorare anche chi non ha idee “creative”? Oppure chi non si candida ad essere il numero 1, in Italia deve soccombere?
Siamo in una fase regressiva. Se vogliamo occuparci della povera gente, è bene iniziare a fare l’identikit della povera gente. C’è il ricercatore universitario precario figlio della classe media impoverita, ma c’è anche il ragazzo disoccupato figlio della povertà più nera.

Concentriamoci e discutiamo, tanto per iniziare, a come rispondiamo a queste due condizioni.