Sta avvenendo in Italia qualcosa di molto simile alla Grecia. Mentre ad Atene chiude la televisione di Stato (adesso ripresa in forma ridotta) e si esibisce per l’ultima volta l’orschestra, a Roma il Colosseo, simbolo di Roma e dell’Italia nel mondo, chiude per la protesta degli operatori. Una manifestazione giusta per i lavoratori che reclamano condizioni migliori, che subiscono gravi ritardi nei loro pagamenti, e che solo dopo questa protesta hanno ottenuto lo sblocco dei finanziamenti per gli stipendia da parte del Mibac. Ma far trovare il Colosseo chiuso ai turisti è un’offesa per tutti.
C’è stata una retorica troppo esagerata in questi venti anni sull’importanza strategica della cultura e del nostro patrimonio archeologico. Tali misure sbandierate in una continua campagna elettorale però non hanno riscontri nei fatti. Anzi, è vero proprio il contrario: investiamo solo l’1,1% della spesa pubblica destinata alla cultura. La media in europa è del 2,2%, il doppio. Siamo al penultimo posto, davanti appunto solo alla Grecia (guarda caso) per percentuale di spesa in istruzione (l’8,5% a fronte del 10,9% dell’Ue a 27).
Eppure come sottolinea lo studio Unioncamere/Symbola (Io sono cultura 2013) la cultura rappresenta il 5,4% della ricchezza prodotta, equivalente a 75 miliardi di euro. Un settore che dà lavoro a un milione e quattrocentomila persone, ovvero al 5,7% del totale degli occupati in Italia. Allargando lo sguardo a tutta la “filiera della cultura”, ossia ai settori attivati come il turismo legato alle città d’arte, il valore aggiunto prodotto dalla cultura schizza dal 5,4 al 15.3% del totale dell’economia nazionale.
Questo è un tema politico. E quindi purtroppo sarà uno dei più complicati dal Governo Letta, che in queste settimane ha dimostrato di trovare un accordo pd-pdl sulle questioni tecniche, ma di aver difficoltà a trovare una quadra nei temi strettamente politici. E senza politiche culturali è come se avessimo il Colosseo chiuso ogni giorno.