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Iniziamo dalla povertà

 

periferie

Sono d’accordo con chi sostiene che non bisogna farsi guidare dall’ “antirenzismo”. Non lo paragonerei affatto all’antiberlusconismo, ma colgo comunque il pericolo di uno schiacciamento culturale che non ci consentirebbe di fare passi in avanti. Mi permetto però di evidenziare che anche l’antigrillismo non ci fa bene.

Noi oggi ci dovremmo concentrare, in maniera autonoma, sulla politica: lotta alle disuguaglianze sociali e difesa della democrazia.
Il referendum costituzionale è lo strumento con cui adempiere al secondo punto, ancora non abbiamo elaborato un piano serio che intervenga sul primo, cioè sulla povertà.

Ragioniamo di questo. C’è la necessità dell’introduzione di un reddito minimo garantito, ma abbiamo bisogno anche di ripensare il mondo del lavoro. Non possiamo più mutuare la nostra politica dal Sindacato e non possiamo più cavarcela citando le esperienze di coworking e di startup in giro per l’Italia. Questo è un pezzo importante, ma che non copre tutto. I laureati nel nostro Paese diminuiscono vertiginosamente e il sistema “meritocratico” (questo sì teorizzato sia da Renzi che da Di Maio) taglia fuori un pezzo largo della popolazione che sinceramente non ce la fa a raggiungere gli standard richiesti.

C’è posto in questo Paese per chi ha una licenza media? Ha diritto a lavorare anche chi non ha idee “creative”? Oppure chi non si candida ad essere il numero 1, in Italia deve soccombere?
Siamo in una fase regressiva. Se vogliamo occuparci della povera gente, è bene iniziare a fare l’identikit della povera gente. C’è il ricercatore universitario precario figlio della classe media impoverita, ma c’è anche il ragazzo disoccupato figlio della povertà più nera.

Concentriamoci e discutiamo, tanto per iniziare, a come rispondiamo a queste due condizioni.

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Questa è la sfida. Ed io voglio esserci.

CELESTE

Ieri si è tenuta la riunione di Sinistra Italiana sull’analisi del voto: è stata una discussione franca, attraversata da una palpabile tensione ma assolutamente ricca di analisi e riflessione. Voglio condividere con voi alcune considerazioni fatte nel mio intervento. Tutti hanno sottolineato che, a queste elezioni, c’è stato il crollo dell’opzione renziana. Lo penso anche io, ma c’è di più: indubbiamente possiamo parlare di opzione renziana – perché i candidati sono espressione diretta del premier – ma in realtà a crollare è stata l’unica opzione esistente nel Partito democratico. La minoranza Pd è totalmente ininfluente. Anzi, più prova ad alzare la testa e più c’è l’affermazione di Matteo Renzi. E mentre Bersani ed altri sognano ancora l’Ulivo, Renzi parla di lanciafiamme nel partito. Da questo punto di vista, è emblematica anche la conferenza stampa post voto in cui segretario del Pd ha tenuto a ribadire che l’Italicum non si tocca e che questi risultati elettorali non cambiano nulla rispetto alla vocazione maggioritaria che deve avere il Pd, così l’aveva pensato Walter Veltroni.
Allora a maggior ragione la domanda è: perché questo voto in uscita dal Pd non l’abbiamo intercettato? Perché se loro scendono noi non saliamo? Chiaramente la risposta tira in ballo più questioni, ma una su tutte – nella sua banalità – le tiene tutte dentro: noi non esistiamo. Le città in cui noi andiamo peggio sono Roma e Torino. Queste sono anche le città in cui invece si attesta meglio il M5S. Pensiamo ancora che il loro risultato elettorale sia frutto del voto di protesta? Del trend nazionale? Del voto utile al contrario? Beh, mi dispiace ma non è così. Non del tutto, almeno. Il M5S in questi anni ha prodotto lavoro sul territorio e radicamento sociale. Chiaramente non discuto qui della qualità di questo lavoro e di questo radicamento, dico solo che la loro azione è stata visibile e costante. Dal movimento virtuale sono passati a quello reale. Fatto di presenza e di contatto con i cittadini. Noi siamo arrivati a queste elezioni senza avere alle spalle questo lavoro politico. Le periferie non ci votano, ma se vogliamo dire tutta la verità, le periferie non ci votavano neanche prima. Perché dichiararsi di Sinistra di per sé, in questi anni, non ti fa automaticamente interlocutore credibile. Non più: è finito il tempo in cui quella parola conteneva in sé il senso del tuo esserci. Qui a Roma, per esempio, abbiamo raccolto il lavoro di chi in questi anni c’è stato, ha avuto ruoli istituzionali, ma non siamo riusciti ad andare oltre. Qui come altrove, infatti, al massimo abbiamo offerto l’evocazione di un progetto politico, non sicuramente un percorso reale su cui investire. E, se vogliamo essere sinceri e ancora più severi, dobbiamo ammettere che l’evocazione complessivamente non ha funzionato. Forse in alcuni territori è mancata anche quella, ma non facciamoci illusioni: sarebbe servita a raggranellare qualche voto in più, ma non avrebbe stravolto il quadro e le percentuali non sarebbero state comunque così diverse. Vale dove siamo andati male, ma vale anche dove siamo andati bene o benissimo come a Cagliari, dove Massimo Zedda ha svolto una funzione che gli viene riconosciuta e, per questo, viene riconfermato.
Noi insomma “ancora” non esistiamo. Ed è questo “ancora” il centro del ragionamento, perché dentro questo “ancora” c’è la responsabilità di ognuno di noi. Lo dico chiaramente: non si può mettere in dubbio ogni tre mesi, o ad ogni tornata elettorale, la costruzione di un soggetto politico. E tutte le volte ricominciare da capo la discussione sulla collocazione del partito che verrà. Bisogna davvero riempirla di contenuti la Sinistra, prima di decretarne il suo fallimento. Noi “ancora” questo passaggio non l’abbiamo fatto perché ci siamo preoccupati molto del Pd e poco di quello che avremmo dovuto fare. Detto questo però, se è vero che il posizionamento non è tutto, voglio affermare con altrettanta forza che è una buona base di partenza: abbiamo bisogno di costruire un soggetto autonomo e indipendente, che possa costruire il proprio profilo politico libero da condizionamenti. Prendiamoci il necessario tempo della coerenza e rifuggiamo dalle semplificazioni e dalle scorciatoie. Non c’è una ricetta che va bene per tutto, c’è la necessità di individuare i soggetti a cui rivolgere il nostro lavoro politico e fare in modo che quel lavoro politico abbia una sua concretezza e una sua utilità. Praticare il rinnovamento, vivere le periferie, abitare il paese reale sarebbe già un buon primo passo di questo percorso. Nei prossimi mesi ci sarà la battaglia referendaria che, purtroppo, nonostante i nostri sforzi dal Governo e dalle forze politiche che lo sostengono, è già viziata. La Costituzione tuttavia ci offre la possibilità di ripartire da quello che io considero il cuore del nostro agire: l’eliminazione delle disuguaglianze. Per me la Sinistra deve concentrarsi su questa battaglia e da qui deve ripensarsi nelle sue proposte. Come si sconfiggono la povertà e la disuguaglianza sociale nel 2016 e negli anni a venire, alla luce del quadro globale, europeo, nazionale? Questa è la sfida. Ed io voglio esserci.