Gli assalti ai bus, le aggressioni agli immigrati, le ronde e la giustizia fai da te degli abitanti, la solidarietà al rovescio. E i rifugiati rinchiusi nei centri d’accoglienza perché rischiano pestaggi. A Roma è pieno allarme sociale e la tensione è alta in tantissime zone: da Corcolle a Torpignattara, passando per Pigneto e Centocelle.
Qualche notte fa – in una delle vie di Tor Pignattara – Khan, giovane pakistano di 28 anni senza fissa dimora, è stato pestato a morte da Daniel, ragazzino di 17 anni. Domenica e lunedì a Corcolle è andata in scena una vera e propria guerriglia urbana: sassi contro i bus, le aggressioni in pieno giorno, il Cara presidiato dalla polizia, tre nigeriani picchiati da una cinquantina di persone e le provocazioni di “alcune teste rasate” come denunciano le cronache. Sono gli l’ultimi avvenimenti in ordine temporale di una escalation di violenza che in queste settimane sta infiammando un’area sempre più grande, che va dal Pigneto a Centocelle.
Il tessuto sociale di una città metropolitana non è di facile analisi; ma ai miei occhi risulta incredibile che questi fatti vengano semplicemente ricondotti a due parole: degrado e insicurezza. Oggi ci sono tante zone “calde” in città, ma nessuno però allarga il campo, cercando di capire da dove arrivano gli interminabili flussi di sostanze stupefacenti, prima origine del controllo del territorio da parte delle mafie. La droga non cresce sugli alberi delle periferie; esiste una rete criminale fatta di corruzioni, collusioni e zone grigie, che coinvolge anche e soprattutto i salotti buoni della Capitale.
Molti abitanti del Municipio V l’hanno capito e in queste settimane si sono mobilitati con tanta generosità, inventando nuove occasioni di socialità e riprendendosi strade ormai abbandonate all’incuria e all’ignavia. Hanno organizzato feste, concerti e flashmob come “Mamma Torpigna” per riabbracciare un territorio intero con una lunghissima catena umana.
Ma c’è anche l’altra faccia della medaglia. Tor Pignattara, ad esempio, è stato il teatro di fenomeni di solidarietà al rovescio, come nel caso del corteo in difesa di Daniel, il carnefice di Khan. Un fenomeno che l’opinione pubblica nazionale si è già ritrovata a raccontare in passato banalizzando e semplificando ma fornendo comunque delle coordinate: disagio, povertà, razzismo, mafia. Attribuirli in passato al Mezzogiorno arretrato e compromesso è stato più facile; nella Capitale d’Italia oggi diventa esercizio più faticoso e per certi versi meglio così se lo sforzo può portare ad avvicinarci di più alla verità.
Quante volte a Reggio Calabria, come a Napoli e Palermo, ci si è inorriditi davanti al grido “uno di noi”, quando l’uno – appunto – si era macchiato di un crimine e il “noi” era la comunità che lo proteggeva. La comunità in questo caso è quella di Tor Pignattara, un quartiere abbandonato, lasciato all’incuria. Un quartiere senza mezzi pubblici, attraversato solamente dal trenino a rotaia della Casilina e dal 105 sempre strapieno, non solo nelle ore di punta. Una borgata sempre in piena “emergenza” rifiuti. Un rione in cui chiudono i negozi ma pullulano nuove sale slot e bingo. Alle prese con il ritorno prepotente dell’eroina, della disperazione, dello spaccio. Dove a fatica operano i centri di aggregazione, e insufficienti sono i servizi e le politiche di integrazione.
Dobbiamo lottare anche contro questa arretratezza culturale, fatta di violenza, prepotenza ed ignoranza. La stessa che porta alcuni cittadini a farsi giustizia da soli come nel caso di Corcolle e altri a credere che a Roma non ci sia criminalità organizzata o che esistano mafie buone che, in questa crisi, danno da mangiare a tutti.
Quello che sta accadendo nella Capitale è un fatto gravissimo. La politica e le istituzioni stanno dimostrando di essere in tremendo ritardo: i segnali ci sono da tempo ma sono stati ignorati. Intere periferie romane sono diventate delle polveriere; violente, isolate, senza servizi primari, abbandonate a loro stesse dopo i numerosi tagli dei fondi da parte del Governo. Le istituzioni e il sindaco Ignazio Marino devono reagire immediatamente. Un vertice sulla sicurezza con il prefetto non basta: serve immediatamente un grande piano di politiche di inclusione sociale e di welfare, con il coinvolgimento delle istituzioni municipali (sempre più in difficoltà dopo la spending review degli ultimi esecutivi) e delle associazioni che lavorano nei quartieri più a rischio.
da Il Garantista del 24.09.2014