Faccio parte dei 218 parlamentari che hanno firmato la proposta di legge dell’intergruppo per la legalizzazione della cannabis. Mentre nel mondo tanti Stati hanno già fatto questo passo, da noi forti resistenze culturali non hanno mai permesso un confronto libero da ideologie e pregiudizi.
Il testo dell’intergruppo raccoglie molti degli aspetti che avevamo già presentato nella proposta di Sel. Nascita dei cannabis social club, coltivazione in casa fino a cinque piante, autorizzazione per la vendita in negozi dedicati forniti di licenza dei Monopoli, una parte dei proventi per il fondo nazionale per la lotta alla droga.
La legalizzazione sarebbe un duro colpo per le mafie, che gestiscono questo affare che vale tra i 15 e i 30 miliardi di euro nel nostro Paese. I clan controllano i nostri territori proprio con la detenzione e lo spaccio, ottenendo un grande consenso sociale generato dal welfare parallelo che hanno costruito nel silenzio delle istituzioni.
Negli Stati che hanno legalizzato la marijuana non è affatto cresciuto il numero dei consumatori né è aumentato l’impatto sociale e sanitario connesso al consumo. A crescere è stato solo il reddito legale e il gettito fiscale.
Continua purtroppo, dopo il family day, l’ondata di diffamazione ai danni di associazioni e docenti sull’inesistente “teoria del gender”, parole con cui i gruppi ultra-cattolici di questo Paese si riferiscono erroneamente all’educazione di genere, altra cosa rispetto a quella che raccontano.
Nel Paese si respira un clima pesantissimo. Ieri i senatori della Lega hanno esposto in aula lo striscione “Difendiamo i nostri bambini”, la ministra Giannini per incassare la fiducia ha rassicurato sull’impossibilità di inserimento della materia, il ministro dell’Interno Alfano che twitta no alla teoria del gender, il modulo prestampato in cui i genitori chiedono di non proporre il gender a scuola. E soprattutto il ritiro dei libri, dalle biblioteche delle scuole materne, che rispettano le pari opportunità da parte del nuovo sindaco di Venezia Luigi Brugnaro. Stiamo assistendo in questi giorni ad un ulteriore attacco alla cultura e alla scuola italiana.
Un’ondata di odio su quelle associazioni che in questi anni hanno condotto, con ottimi risultati, dei progetti scolastici sull’educazione all’affettività e alle differenze per sradicare stereotipi e contrastare la violenza, l’omofobia e il bullismo. Esperimenti condotti grazie all’autonomia scolastica e a dirigenti sensibili, che andrebbero piuttosto sistematizzati nei programmi didattici, come richiede l’art. 14 della Convenzione di Istanbul, votata all’unanimità dal Parlamento.
Da quasi due anni ho depositato una proposta di legge per l’introduzione dell’educazione sentimentale nelle scuole, rimasta chiusa in un cassetto della maggioranza. Il Governo continua a rimandare ogni discussione, tra una fiducia e un’altra, e a rimanere in silenzio sul tema, alimentando teorie inesistenti, gettando in confusione i genitori italiani e fomentando i gruppi ultra-cattolici su modelli medievali. Il ritiro dei libri di Brugnaro è un gesto inaccettabile che rimanda disgustosamente agli anni bui del totalitarismo: il Governo prenda al più presto provvedimenti, conclude la deputata di Sel.
Abbiamo bisogno dell’aiuto di tutte e tutti. È il momento di rilanciare con forza i contenuti della campagna #1oradamore, per fare corretta informazione sui temi di genere e creare le condizioni per cui si possa al più presto discutere la proposta di legge sull’educazione sentimentale in Parlamento. Il Governo continua a rimandare, tra una fiducia e l’altra, e a rimanere in silenzio, alimentando teorie inesistenti, gettando in confusione i genitori italiani e fomentando i gruppi ultra-cattolici su modelli medievali. Ora basta!
Chi è contrario ad accertare la verità sui fatti di Genova si sta affrettando a dire che non si possono fare atti parlamentari sulla “spinta emotiva” della condanna di Strasburgo sulla Diaz. Nessuna spinta emotiva, è da 14 anni che aspettiamo. È solo una questione di volontà politica. Basta tweet, vogliamo una legge corretta sull’introduzione del reato di tortura, numeri identificativi per le forze dell’ordine, commissione parlamentare d’inchiesta su Genova 2001.
Durante il mio intervento sull’introduzione del reato di tortura nel codice penale ho ricordato le storie delle donne e degli uomini rinchiusi nella caserma di Bolzaneto nei giorni del G8 di Genova. Storie di privazioni, violenze, abusi. Storie di tortura, un reato che il nostro Paese ancora non prevede, ignorando la Convenzione Onu del 1984 che definisce il delitto di tortura un reato proprio del pubblico ufficiale.
Il testo, da oggi alla Camera, non ci soddisfa pienamente. Presenteremo degli emendamenti che rispettano la nostra proposta di legge, redatta insieme alle associazioni, che non considera la tortura un reato comune.
Da tanto tempo aspettiamo questo momento. Faremo di tutto per far diventare legge il reato di tortura. Lo dobbiamo ai tanti Stefano Cucchi e lo dobbiamo alla nostra generazione, a Genova 2001, che credeva nel cambiamento.