I miei interventi (inascoltati dal Governo) per il ripristino delle ore di storia dell’arte
Cancellare la formazione artistica è stato l’ennesimo paradosso di una politica che negli ultimi venti anni ha danneggiato beni culturali, paesaggi e patrimoni unici al mondo. Ridurre le ore di storia dell’arte per le studentesse e gli studenti vuol dire abbassare il loro senso critico, cancellare l’interdisciplinarietà con le altre materie letterarie, dimenticare la grandezza del nostro patrimonio storico. Al contrario crediamo che l’Italia debba educare alle arti, alle culture, alla bellezza. La nostra ricchezza culturale e artistica è un bene comune: solo noi possiamo tutelarlo, preservarlo e valorizzarlo. Ma solo se offriremo, ai cittadini di oggi e domani, saperi, intelligenze, conoscenze diffuse dei territori e dei beni culturali italiani.
Allego di seguito i miei interventi normativi in relazione al DL Istruzione votato ad ottobre. Appelli inascoltati dal Governo e dal Ministero dell’Istruzione.
Qui ulteriori info: http://fanpa.ge/1kg3pGF
Per una vera e trasparente riforma del diritto d’autore
La Siae è la società in Europa con più dipendenti, con un rapporto raccolta/costi molto basso. Come denuncia la Federazione degli Autori, negli anni gli autori italiani sono stati privati di centinaia di milioni per permettere di finanziare una struttura elefantiaca, burocratica ed inefficiente, guidata da un vertice attento a tutto tranne che ai proventi economici degli stessi autori;
La minor efficienza della Siae, dice l’Istituto Bruno Leoni, rispetto agli organismi esteri equivalenti, costa agli autori, ai discografici e ai fruitori di opere musicali protette complessivamente circa 13,5 milioni di euro annui. I bassi tassi di efficienza della Siae si ripercuotono negativamente sull’industria culturale italiana e sulla capacità di diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione;
Il nuovo statuto, approvato durante il commissariamento, ha creato una piena subordinazione della Siae alle multinazionali discografiche, tagliando fuori le arti con meno successo commerciale dalla rappresentanza. Nel sistema elettorale ideato ogni associato esprime un voto per ogni euro che la Siae raccoglie a suo favore. In altri termini ogni associato esprime un numero di voti pari al numero di euro guadagnati, un’alchimia che trasforma il reddito in partecipazione azionaria. Il risultato di tale progettazione è scontato: poche decine di associati esprimono ciascuno milioni di voti. Così il nucleo duro nelle multinazionali e nei pochi grandi editori musicali nazionali hanno il controllo della Siae. Somiglia già ad una privatizzazione senza che i soci di maggioranza mettano a rischio un proprio euro nella costituzione del capitale sociale. Il rischio imprenditoriale è del tutto assente.
Come riportato ed evidenziato dalla stampa, la Siae nel bilancio 2012 ha compensato le perdite di oltre 25 milioni di euro in meno rispetto all’anno precedente con ricavi percepiti da attività che nulla hanno a che vedere con le finalità e gli scopi principali della società: come i soldi incassati dall’Agenzia delle Entrate per lo svolgimento di attività ispettive e dall’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato. Soldi che sono serviti a far quadrare i conti durante la gestione commissariale e che hanno permesso di chiudere in utile il bilancio 2012;
Il bilancio dell’ente pubblico deriva solo per il 50% dall’attività istituzionale e per il restante si affida a rendite finanziarie, plusvalenze (come se fosse una finanziaria) e una operazione immobiliare sottoposta ad indagine;
La società continua a manifestare una profonda arretratezza: dalle nuove tecnologie la Siae riesce ad incassare la modesta somma di 5/6 milioni all’anno. Nonostante servizi carenti la società presenta costi per gli associati tra i più elevati tra i paesi comunitari. Tutto ciò, unito alla mancata produttività, riscontrabile in tutti i bilanci presentati dalla Siae in confronto alle società di collecting europee, e ad una carente trasparenza di gestione non fa altro che prefigurare la forte necessità di cambiare lo stato delle cose nell’ente pubblico Siae.
Crediamo che l’ipotesi contenuta nella mozione Romano di Scelta civica presentata oggi, miri principalmente ad un’operazione gattopardersca: cambiare tutto per non cambiare niente. E quindi miri alla tutela di questo status quo e crei le condizioni per salvaguardare gli interessi dei più importanti associati alla Siae, dimenticando l’aiuto mutualistico e solidale della società, ovvero la creazione di prospettive di affermazione per autori emergenti, intelligenze e creatività che dovrebbero continuare a garantire linfa vitale alla cultura del Paese.[Read more]
Oggi, con l’approvazione della proposta di legge 362-A, colmiamo un ritardo diventato cronico in uno dei settori a nostro avviso strategici per far uscire dalla crisi il nostro Paese e dare finalmente il giusto riconoscimento a migliaia di lavoratori e lavoratrici dei beni culturali. Professionisti che avranno, dopo venti anni di derubricazione del tema, il giusto riconoscimento professionale ed economico benché curino, tutelino e valorizzino quotidianamente il patrimonio più importante del nostro Paese, quello per sua natura inestimabile, quello che rappresenta nel mondo “la grande bellezza” italiana.
Sabato scorso ero in piazza del Pantheon insieme a uomini e donne che rivendicavano i loro diritti professionali e una buona occupazione dopo anni e anni di formazione universitaria e specializzazione sul campo. Oggi diamo una risposta concreta a quelle rivendicazioni, inserendo finalmente ruoli e qualifiche dei professionisti nel codice dei beni culturali e del paesaggio.
Questo testo nasce dopo anni di riflessione (fu presentato nel 2008), confronto, dibattito dentro e fuori il Parlamento. Soprattutto in Commissione Cultura dove tante sono state le audizioni e dove molte istanze di associazioni ed enti sono state raccolte anche nell’ultimo comitato ristretto organizzato. Un iter “frenato” dal ritiro delle firme da parte dei colleghi del Movimento Cinque Stelle la scorsa settimana. Ostruzionismo di cui avremmo volentieri fatto a meno e che ha rischiato di allontanare ulteriormente un traguardo a cui arriviamo già da ultimi in classifica.
Il testo che abbiamo votato non fa altro che fotografare l’esistente, mettendo finalmente in termini di legge un lavoro che finora non aveva riconosciuto ruoli e competenze. Rappresenta un passo avanti attraverso la proposta di uno schema ordinato in cui considera professionisti gli archeologi, gli storici dell’arte, gli archivisti, i bibliotecari, i demoetnoantropologi, gli antropologi, gli esperti di diagnostica applicata ai beni culturali, gli storici dell’arte. Professionisti in possesso di adeguata formazione che lavorano per enti statali o per i privati.
È indubbio che qualsiasi norma su questo specifico tema sia sorpassata dall’evoluzione continua del ruolo di professionista dei beni culturali: una professione che vive di aggiornamento e che sta cercando sempre di più di integrarsi con l’information technology, con la comunicazione, con le nuove scienze di conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale. Adesso con questa legge esiste un sistema di garanzie e di qualifiche professionali: identifichiamo precisamente le professioni degli operatori e i requisiti minimi utili a svolgerle. In una direzione che si incrocia con il riordino della formazione universitaria e le sfide globali del mercato. Per questo motivo il testo fa riferimento alla disciplina europea, attenta ai diritti esclusivi e alle regolamentazioni di specifiche categorie. Anche questo un ritardo che si cerca di colmare ma che in passato si sarebbe potuto appianare già con la Convenzione europea de La Valletta del 1992, che l’Italia ancora non ha ratificato. Il ministro Bray si è impegnato più volte alla ratifica e ad un pronto inserimento nell’agenda dei lavori del Consiglio dei ministri.
L’approvazione di questo testo e la ratifica della Convenzione de La Valletta non potranno fare altro che garantire numerosissimi benefici in termini di miglioramento dell’azione di tutela dei beni culturali e del patrimonio, costituendo anche i presupposti base per la creazione di nuovi posti di lavoro. Non nella quantità, quanto nella qualità dell’occupazione
Saranno stabiliti dei registri che il Mibact con decreto entro sei mesi dovrà varare in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, la Conferenza Stato-regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, le associazioni professionali. Un decreto che conterrà i requisiti minimi per l’iscrizione ai registri e il riconoscimento delle professioni. Ma vigileremo affinché non sia trattato come un albo professionale. Assieme a questo ribadiamo e sottolineiamo come gli interventi di tutela svolti dai professionisti privati debbano in tutti i modi svolgere una funzione identica a quella dello Stato in materia di tutela del patrimonio culturale.