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Dopo la tragedia di Lampedusa, l’ambasciatore eritreo Tekle e i suoi collaboratori hanno cercato di raccogliere e schedare i nomi dei sopravvissuti, cercando di venire a conoscenza anche dei nomi dei defunti. Per creare un dossier da inviare tempestivamente in Eritrea, dove vige il regime politico di Isaias Afewerki, presidente da venti anni, che limita ogni libertà: un regime totalitario, sanguinario, che ha fatto guadagnare al Paese il non raccomandabile titolo di “Nord Corea africana”.

I migranti eritrei, sopravvissuti e morti nel drammatico trasbordo del 3 ottobre sono proprio scappati dal regime di Afewaerki: per questo motivo tutti i superstiti hanno comprensibilmente rifiutato qualsiasi incontro con il diplomatico, che fingeva di mostrare solidarietà.

La risposta della ministra Kyenge all’interpellanza sui migranti eritrei

Celeste Costantino: “Riteniamo insoddisfacente dal risposta del Governo”

Vogliamo rimettere totalmente in discussione le politiche di questi venti anni, che hanno visto anche accordi con dittatori del passato, vedi i trattati con la Libia di Gheddafi, o compromessi con i regimi del presente, come quello, appunto, con il Governo Eritreo.

L’operazione “Mare nostrum” è lì a demolire tutte le speranze di fare di questa Italia un Paese di integrazione, accoglienza, speranza. Il Governo dice che si tratti di una missione umanitaria, ma dal 18 ottobre il nostro Mediterraneo è militarizzato: 16mila miglia quadrate sono pattugliate dalla San Marco, dalle motovedette della Capitaneria di porto e della Guardia di Finanza, dalle fregate, dagli aerei predator senza pilota. Il Governo ha deciso di creare barriere, frontiere, barricate. Il tutto coinvolgendoci in questo “nostrum” dal sapore ipocrita e soprattutto colonialista.
Si dirà che però questo sistema riesce a salvare 200 migranti al giorno. D’accordo. Ma quanto deve durare questa ipocrisia? Perché facciamo finta di non sapere quante migliaia di migranti muoiono nel deserto? Quante donne muoiono dopo abusi e violenze nelle carceri libiche, quanti uomini torturati nei viaggi della speranza, quante ricchezze accumulano le mafie organizzando i barconi che solcano il Mediterraneo, quanto stiano scoppiando i Cara (11.200 persone a fronte di 7.500 posti nominali), quanto non ci siano parole nel descrivere la condizione dei Cie italiani.

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Vogliamo sapere i risultati dell’autopsia e vedere la cartella clinica di Moustapha Anaki, 31 anni, migrante proveniente dal Marocco e morto in circostante ancora non chiarite lo scorso 10 agosto nel Centro identificazione e di espulsione Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto (Crotone).

Moustapha Anaki, recluso da un mese nella struttura, si trovava da sette anni in Italia, senza permesso di soggiorno. Quindi per le leggi vergognose (Bossi-Fini, pacchetto Sicurezza 2009) considerato un immigrato irregolare in attesa di espulsione. In seguito alla sua morte i 51 migranti presenti nella struttura hanno protestato rendendo inagibile il centro. Ciò ha portato alla chiusura del Cie e al trasferimento dei migranti in altre strutture italiane. Dall’Ente gestore, le Misericordie, è stato dichiarato che “Anaki soffriva di cardiopatia” e che “la protesta è legata ai tempi di permanenza” e non alla morte del giovane.

Vorremmo capire perché la notizia della sua morte e della successiva protesta dei migranti sia stata comunicata solo dopo una settimana dai fatti. Per questo motivo stiamo per depositare un’interrogazione parlamentare al ministro Alfano e alla ministra Kyenge per chiedere chiarezza al Governo sull’accaduto.

Domani la ministra per l’integrazione Kyenge sarà in visita al centro Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto. Ci piacerebbe che in quella occasione rendesse più chiara una vicenda che ha dei contorni decisamente oscuri. E che gettano ombre sulla gestione dell’accoglienza in Italia. Vorremmo conoscere – conclude la deputata Costantino – il motivo della morte di Moustapha, sapere dove sono stati trasferiti i 51 migranti “testimoni” della vicenda, conoscere le condizioni di vita dei migranti dopo la riduzione dei servizi al minimo (21 euro al giorno, il più basso di tutti i centri italiani), apprendere il motivo per il quale la Prefettura nega da mesi l’accesso alla stampa per “ordine pubblico”.