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La Calabria deve valorizzare i suoi 700 km di coste, perché non c’è più la flotta navale che tutela il mare? La mia interrogazione al Ministero dell’Ambiente

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Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-13181

Giovedì 12 maggio 2016, seduta n. 623

COSTANTINO, RICCIATTI e DURANTI. — Al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare . — Per sapere – premesso che:
dal 2011 le coste calabresi sono sprovviste del servizio di «pulizia e recupero delle acque marine superficiali costiere»;
il servizio era stato effettuato ogni anno, per più di quindici anni, attraverso la dislocazione di una flotta, in altrettanti porti della regione, di quattordici battelli dotati di attrezzature in grado di ripulire l’acqua marina di fronte alle coste di competenza di altrettanti porti della Calabria;
nel 2012 l’annuale gara è andata deserta e da quel momento niente più si è fatto per garantire un servizio pensato per sopperire alle croniche inefficienze della depurazione terrestre delle acque reflue e alle conseguenze degli scarichi abusivi, ma anche per contrastare situazioni eccezionali e difficilmente controllabili e gestibili da terra come ad esempio fenomeni più o meno naturali come la presenza di alghe e mucillagini o inquinamento proveniente da altri territori o derivante dalle mareggiate invernali;
anche per quanto riguarda la flotta nazionale, di competenza ministeriale, vi è stata una penalizzazione per la Calabria essendo scomparso da qualche anno il natante di stanza nel porto di Roccella Jonica, lasciando completamente sguarnito uno dei tratti più a rischio inquinamento non solo di provenienza terrestre. Inquinamento che, oltre a pregiudicare la salute pubblica e quella degli organismi marini, è concausa dell’abbassamento della qualità dell’offerta turistica che vede nella balneazione una delle principali fonti d’attrazione della regione;
la nave «Punta Izzo» era stata individuata dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare al fine di presidiare la costa Jonica della Locride e era volta quindi alla tutela del mare e dell’ambiente marino in generale, ciò dopo il disastro verificatosi nella stagione estiva 2010, che aveva causato enormi danni al turismo locale;
l’urgenza va sottolineata oggi, all’indomani della chiusura del primo filone di indagini per inquinamento ambientale che vede coinvolto il sistema depurativo dei comuni di Bovalino, Benestare e Casignana, in provincia di Reggio Calabria, il cui conclamato inquinamento delle coste era stato segnalato dalla Guardia costiera e dai rilievi e dalle diffide alla balneazione da parte dell’Arpacal, l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente in Calabria;
stessa attenzione è stata dedicata al depuratore per le acque reflue del comune di Staiti, in provincia di Reggio Calabria, a cui sono stati posti i sigilli, per mancata manutenzione e cattivo funzionamento;
i 700 chilometri di coste calabresi, oltre ai monitoraggi ambientali dovuti dagli enti locali avrebbero bisogno di una flotta che sia non del tutto sostitutiva, ma quantomeno complementare, anche se l’intero sistema di depurazione terrestre fosse efficiente;
molte organizzazioni hanno sollecitato il dipartimento ambiente della regione, ma il servizio di flotta regionale non è stato ancora ripristinato, nonostante per più di un decennio la spesa sostenuta per la presenza della flotta navale di controllo sia stata relativamente irrisoria e finanziata con fondi europei, con un ottimo ritorno in materia di qualità della vita e di turismo –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda promuovere per garantire una capillare flotta in Calabria, anche alla luce della mancanza di una flotta regionale, e avendo il Ministero la competenza a inviare navi, si intenda assumere iniziative per far ritornare anche a Roccella Jonica il provvidenziale natante della flotta d’intervento nazionale in modo da garantire ritorni inestimabili sia in termini di salute pubblica che di qualità ambientale, con tutto ciò che ne può derivare a livello di redditività sociale e turistica. (4-13181)

http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=4/13181&ramo=CAMERA&leg=17

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La mia interrogazione sullo scempio ambientale a Gioia Tauro, la IAM coinvolta nell’indagine Tempa Rossa

gioia tauro
Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-13033

presentato da

COSTANTINO Celeste

testo di

Giovedì 28 aprile 2016, seduta n. 615

COSTANTINO, DURANTI e RICCIATTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell’interno . — Per sapere – premesso che:
il quartiere Fiume sorge a nord della cittadina di Gioia Tauro ed è attraversato dal torrente Budello, un fiumiciattolo che in periodi di magra raggiunge scarsamente i 50 centimetri ma durante le piogge specie autunnali il livello raggiunge i due metri. Il 2 novembre 2010 li superò abbondantemente esondando ed allagando buona parte del quartiere;
il Comitato quartiere Fiume nasce ufficialmente il 20 ottobre 2012 con lo scopo di fare fronte comune e dare voce alle lamentele dei singoli cittadini del rione. Infatti, l’attenzione sulle problematiche del fiume, del depuratore e del degrado ambientale risalgono al 1997;
già in quegli anni nel fiume Budello venivano svenati i reflui «depurati» dell’adiacente impianto di depurazione oggi gestito dalla I.A.M. S.p.A. Benché fossero reflui depurati i cittadini e il Comitato denunciavano un fetore già da allora insopportabile;
in seguito alle proteste, anche del sopracitato Comitato, la condotta della IAM fu spostata a mare nei pressi della foce del Budello. In teoria, dovrebbe sversare a 400 metri dalla battigia, ma per problemi alla condotta ad oggi sversa a 100 metri o anche meno;
mentre i cittadini si mobilitavano per protestare contro i miasmi e per il fiume abbandonato a se stesso, nelle vie del quartiere aumentavano i casi di tumori e neoplasie, che da sporadici sono incrementati vertiginosamente fino a destare la preoccupazione della collettività. In poco tempo è emerso che l’incremento dell’incidenza tumorale aveva colpito l’intera cittadina di Gioia Tauro, tanto che si è ritenuta necessaria l’attivazione di un registro tumori, attualmente ancora inoperante;
allarmati, 10 mila cittadini hanno rivolto un appello scritto ai più alti livelli istituzionali, tra cui il Ministro della salute Lorenzin, il Procuratore di Reggio Calabria Cafiero de Raho senza ricevere alcuna risposta;
il picco di odore nauseabondo proveniente dalla IAM, correlato ai malori, è avvenuto il 26 giugno del 2014. Non più miasmi semplicemente fastidiosi come lo erano solitamente ma molto più intensi, segnalano coloro che sono stati colpiti da malesseri. Durante la mattinata infatti molte persone sono state trasportate al pronto soccorso con sintomi di nausea, capogiri, lacrimazione oculare. Quel giorno la puzza era veramente insopportabile tanto che la gente abbandonava le case e si spostava in altre zone della città. Nel tardo pomeriggio, appena la puzza ha iniziato a scemare e ha consentito ai cittadini di riavvicinarsi, la popolazione ha bloccato i cancelli del depuratore per impedire alle autocisterne di entrare e scaricare;
la IAM si affrettò a far sapere ai cittadini che il problema sarebbe derivato da un black-out elettrico che non era stato preavvisato. Oggi di quella giornata si conoscono le intercettazioni telefoniche riportare dai quotidiani. In queste intercettazioni la dirigenza IAM, ammette telefonicamente, con i clienti del Centro Oli di Viggiano, di avere dei problemi a causa dello smaltimento delle loro acque. Intercettazioni che portano il caso in mano alla procura di Potenza;
la IAM S.p.A. (Iniziative ambientali meridionali) è una società partecipata a capitale prevalentemente privato che dal 1999 gestisce l’impianto di depurazione di Gioia Tauro. La proprietà dell’impianto è in capo all’ASIREG (consorzio per lo sviluppo industriale riconducibile alla regione Calabria). Il depuratore nasce come impianto di depurazione della rete fognaria di 16 comuni della Piana di Gioia Tauro. Fra i soci della IAM vi sono il comune di Gioia Tauro (3 per cento di quote azionarie e un rappresentate nel Consiglio di amministrazione), Polistena (1 per cento) Rosarno (0,5 per cento);
nel 2008 l’azienda chiede ed ottiene dalla regione Calabria l’autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.) per il trattamento di rifiuti liquidi non pericolosi e da allora giungono al depuratore decine e decine di autocisterne al giorno cariche secondo la società di percolato da discarica. Le discariche da cui provengono sono dislocate in tutta Italia, anche da Brescia e Bolzano. Nonostante la società abbia rassicurato più volte sul fatto che essa smaltisse solo percolato da discarica, dopo l’apertura delle indagini lo stesso, amministratore delegato ha dichiarato che sono stati trattati liquidi provenienti dalla lavorazione del petrolio;
prima dell’interessamento dei PM di Potenza, precisamente il 29 ottobre del 2015, la capitaneria di porto di Gioia Tauro aveva sequestrato la cosiddetta «Quarta linea» del depuratore IAM ossia la parte dedita allo smaltimento dei rifiuti. Secondo le analisi svolte dal Laboratorio ambientale mobile (L.A.M.) della capitaneria di porto vi si riscontrava la presenza di metalli pesanti, quali cadmio, al di sopra dei limiti di legge. Il 17 novembre dello stesso anno il tribunale della libertà di Reggio Calabria dissequestra l’impianto che torna al suo normale funzionamento, nonostante le indagini da parte della guardia costiera proseguano e siano tuttora in corso;
l’inchiesta Tempa Rossa dei giorni successivi a questo episodio confermerebbe che la IAM avrebbe sversato 26 mila tonnellate di rifiuti pericolosi;
solo a questo punto la questione è finita in consiglio comunale di Gioia Tauro, dove all’unanimità si è votato affinché il comune socio al 3 per cento chiedesse all’assemblea dei soci della IAM l’azzeramento del Consiglio di amministrazione e la chiusura della quarta linea –:
di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se intenda promuovere una verifica, anche tramite il comando dei carabinieri per la tutela dell’ambiente, sullo stato dei luoghi e sul livello di inquinamento nonché un’indagine epidemiologica in relazione ai rischi per la salute della popolazione. (4-13033)

http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=4/13033&ramo=CAMERA&leg=17

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A Vibo Valentia il rischio di perdere un patrimonio archeologico. Cosa fanno amministrazione comunale e sovrintendenza? La mia interrogazione parlamentare.

vibo valentiaAtto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-13018

presentato da

COSTANTINO Celeste

testo di

Giovedì 28 aprile 2016, seduta n. 615

COSTANTINO, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, RICCIATTI, NICCHI, DURANTI, MELILLA, PANNARALE e CARLO GALLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo . — Per sapere – premesso che:
durante i lavori di ricostruzione voluti dall’amministrazione di Vibo Valentia su viale Paolo Orsi, la via che conduce al cimitero cittadino, sono emersi sotto gli occhi della Soprintendenza che vigila sulla messa in opera, reperti archeologici che sembrano essere di grande valore;
la Sovrintendenza è stata infatti coinvolta perché il suddetto viale ricade nell’area del parco archeologico urbano dove sono stati già rinvenuti i resti del tempio ionico in località Cofino, per il cui restauro sono stati finanziati 3 milioni di euro e per cui si attende la fine dei lavori;
secondo fonti giornalistiche (Il quotidiano del Sud, 15 aprile 2016), durante i lavori che hanno interessato la carreggiata verso il cimitero sarebbero emersi ulteriori resti delle mura greche dell’antica Hipponion e, di concerto con la stessa Soprintendenza archeologica, si sta procedendo all’interramento degli stessi resti per proseguire l’asfaltatura della strada e la posa dei tubi di condotta idrica per lo scorrimento di acque bianche, probabilmente per carenza di fondi che permettano di valorizzare i resti e renderli fruibili a turisti e visitatori, rispettando così i tempi di consegna e attuazione progetto, a discapito di beni archeologici di fondamentale importanza –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e come intenda verificare le responsabilità della Soprintendenza archeologica rispetto ai propri doveri di vigilanza e dunque che politiche intenda attuare per valorizzare reperti di questo valore, specie per implementare le risorse turistiche della zona. (4-13018)

http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=4/13018&ramo=CAMERA&leg=17

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Che fine hanno fatto i fondi per il tempio dorico di Kaulon a Monasterace? Presentata interrogazione parlamentare

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COSTANTINO, DURANTI, RICCIATTI, PANNARALE, NICCHI, CARLO GALLI, MARTELLI, GIANCARLO GIORDANO, QUARANTA, PIRAS, ZARATTI, GREGORI, KRONBICHLER. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
il 1o dicembre 2013 il passaggio in Calabria del ciclone Nettuno colpì il tempio dorico di KAULON, a Monasterace, in provincia di Reggio Calabria, cominciando a demolire il perimetro che originariamente era formato da blocchi scolpiti e incastrati tra di loro;
Kaulon è quel che resta della parte termale della città ellenica di Caulonia, situata in riva al mare e contenente il più grande mosaico della Magna Grecia;
in seguito alla mobilitazione dei giovani del Comitato Civico «Monasterace nel cuore», nel febbraio 2014 il Ministro pro tempore Bray garantì lo stanziamento di una prima tranche di 300 mila euro per un primo intervento di messa in sicurezza straordinario, e nel luglio 2014 è arrivato dello stesso anno arrivava l’annuncio di un ulteriore finanziamento di 700 mila euro per la riqualificazione dell’area archeologica, dato l’evidente degrado e abbandono in cui versa, fondi che però sembrano ancora non essere stati sbloccati per questioni burocratiche e infatti nessun nuovo intervento è stato messo in atto nella zona;
in primis fu posata una robusta e lunga gabbionatura con sassi dalla parte estrema sud dell’area fino al punto estremo nord del tempio, risolvendo quindi il problema;
trattandosi di un tempio a ridosso dell’acqua le mareggiate continuano e le onde, erosive, hanno iniziato a colpire la duna sottostante Casa Matta, unità abitativa e termale dell’Area archeologica «Paolo Orsi», dove c’è un ipocausto e soprattutto il pezzo forte di quest’area, ossia il mosaico ellenistico più grande mai ritrovato, un’opera di immenso valore e bellezza con disegni di draghi e delfini, il quale rischia allo stato attuale di crollare in mare;
inoltre, il piano della regione Calabria di protezione a mare contro l’erosione costiera prevedeva un contributo di 2,5 milioni di euro, i quali ad oggi risultano non impiegabili perché sembrerebbero esistere dei contenziosi tra ditte che hanno fatto richiesta di partecipazione al bando di gara –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e come intenda garantire che l’ultimo stanziamento di 700 mila euro venga effettivamente utilizzato per la messa in protezione del tempio e dei mosaici e quali politiche intenda attuare per valorizzare reperti e opere di tale valore, anche nell’ottica di implementare le risorse turistiche di una zona ricca di beni culturali.

Questo il link della Camera:

http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=4/12640&ramo=CAMERA&leg=17