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Presentata interrogazione sull’inattività delle Terme di Antonimina a Reggio Calabria

acque
Interrogazione a risposta scritta 4-13865
Mercoledì 20 luglio 2016, seduta n. 658

COSTANTINO, PAGLIA, DURANTI e RICCIATTI

Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute, al Ministro dell’interno. — Per sapere – premesso che:
il Consorzio Acque Sante Locresi è ente strumentale dei comuni di Antonimina e Locri in provincia di Reggio Calabria;
la concessione mineraria originale è stata rilasciata al comune di Antonimina ed al comune di Locri – congiuntamente – in data 15 aprile 1948, dal Ministero dell’industria e commercio, Corpo delle miniere, distretto di Napoli;
le acque del Consorzio termale di Antonimina — Locri sono conosciute già dall’antichità come «Acque Sante Locresi» e sono classificate come acque termominerali, isotoniche, leggermente sulfuree, salso-solfato-alcaline con tracce di jodio (Autorizzazioni del Ministero della sanità n. 2724 del 6 maggio 1991 e n. 2813 del 29 settembre 1992);
le acque sgorgano costantemente a 36 gradi di temperatura e sono batteriologicamente pure e sono impiegate per bagni, fanghi e per via transmucosa con benefica azione risolvente, detergente e stimolante delle difese organiche e del ricambio generale, trovando quindi indicazione nei postumi di processi infiammatori cronici di qualsiasi origine;
la nuova struttura, sita a Bagni Antonimina a circa quattrocento metri di distanza dalla sede originaria, è stata inaugurata, ufficialmente, il 27 agosto 2011;
la struttura, il cui progetto risale al 1986, sorge su un’area di circa diecimila metri quadri, ed è costata circa 6 milioni di euro, finanziati con la legge n. 64 e con i P.I.T.;
lo stabilimento si distribuisce su tre piani con ampio salone d’ingresso, salone conferenze, uffici amministrativi, sale mediche, due reparti di fangoterapia e aerosolterapia, una grande piscina termale e le sale di fisioterapia;
usualmente la stagione termale è compresa da aprile a novembre ed impiega circa 15 unità lavorative tra stagionali e unità a tempo indeterminato, che attualmente sono inattive;
alla data del 7 luglio 2016 non risulta ancora avviata la stagione annuale con grave pregiudizio per l’erogazione delle prestazioni sanitarie, la maggior parte delle quali svolte in regime di convenzione con l’ASP di Reggio Calabria;
tale situazione appare pregiudizievole dell’attività presente e futura del Consorzio e nello scenario di un’eventuale privatizzazione potrebbe portare ad un minore valore di realizzo;
già nel 2006, lo stabilimento era stato attenzionato e governato da un commissario prefettizio, Dottoressa Niccolò, la quale ha provveduto ad adeguare lo statuto del Consorzio, sotto richiesta degli stessi sindaci dei comuni di Locri e di Antonimina, i quali avrebbero potuto nominare un nuovo Consiglio di amministrazione;
il ripristino, con urgenza, della regolare operatività del suddetto consorzio è importante al fine di salvaguardare l’erogazione del servizio sanitario e le maestranze e l’economia complessiva dell’ente aiuterebbe sul piano occupazionale e sociale tutto il territorio di Locri e Antonimina –:
se il Governo non intenda convocare, per quanto di competenza, un tavolo istituzionale di confronto, con la partecipazione degli enti interessati, al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e dare uno sbocco di prospettiva alle parti sociali e al territorio coinvolto. (4-13865)

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La mia interrogazione al Ministero dell’Interno sulla carenza di strutture e di accoglienza alle donne migranti in Italia rifugiate e richiedenti asilo

20/09/2015 Palermo. A bordo della nave della marina tedesca Holfein, sono sbarcati 767 migranti. Fra loro ci sono 65 minori non accompagnati e 9 donne incinte

Interrogazione a risposta scritta 4-13734
COSTANTINO Celeste
Venerdì 8 luglio 2016, seduta n. 650

COSTANTINO, RICCIATTI, DURANTI, NICCHI, CARLO GALLI, PANNARALE, MARTELLI, QUARANTA, MELILLA, PALAZZOTTO, PIRAS, AIRAUDO, SANNICANDRO, PLACIDO, KRONBICHLER

Al Ministro dell’interno . — Per sapere – premesso che:
dal 1999 al 2005 l’Unione europea ha lavorato alla creazione del Common European Asylum System (CEAS), le cui direttive impongono oggi, nello scenario ulteriormente mutato delle migrazioni rispetto a quegli anni, condizioni di accoglienza che garantiscono dignità, protezione e sicurezza sociale, fisica e materiale;
numerose ricerche dimostrano che il gap esistente tra le direttive formali e le reali condizioni di permanenza nei CIE, nei CARA e nei CDA, è ancora troppo ampio;
questo gap si ripercuote maggiormente sulle vite di coloro che il Parlamento europeo definisce appartenenti a «gruppi vulnerabili», ovvero le donne richiedenti protezione internazionale e le rifugiate, che sono portatrici sì come gli uomini di un passato fatto di povertà guerra e violenza, ma sono soggette maggiormente, rispetto ai propri compagni di viaggio, a violenze ed oppressioni specifiche non solo nel Paese da cui scappano, ma anche durante la loro traversata e all’interno delle strutture dei Paesi che dovrebbero accoglierle;
non a caso le istituzioni e gli osservatori internazionali hanno in alcuni casi stabilito di studiare i dati riguardanti la partenza e l’approdo di donne come strumento di comprensione del fenomeno, ad esempio Unhcr ha recentemente aggiunto alla sezioneMediterranean Crisis, un paragrafo dedicato al Gender Breakdown of Arrivals che aggiorna i dati sulle donne approdate sulle coste di Italia e Grecia, i principali punti d’ingresso nel territorio dell’Unione;
se si combinano le tabelle pubblicate, i dati Eurostat consentono la disaggregazione di genere per provenienza, età, Paese in cui si è fatta domanda e decisioni finali sulla sua valutazione. Nel 2015 hanno chiesto asilo nei 28 Paesi dell’Unione europea 1.321.600 di persone, di cui 366.785 erano donne;
solo in Italia invece, nel 2015, le domande d’asilo delle donne erano 9.720 su un totale di 84.085, 4.930 nel 2014 su 64.625, e 3.655 nel 2013 su 26.620. Il sito del Ministero dell’interno HYPERLINK rende pubblici i dati sulla presenza di asilanti sul territorio nazionale. Rispetto al 2014, offre altresì una mappatura regionale e provinciale delle presenze di richiedenti, differenziando anche la tipologia di centro. Tuttavia, non sono indicate le strutture per donne, né vi sono dati disaggregati per genere. Anche il documento che specifica l’andamento mensile del 2015, fornendo dati sulle nazionalità e sulle risposte delle domande analizzate, limita i numeri sulle donne alle domande presentate, senza specificazioni sulle nazionalità, né sulle risposte. («Cosa accade dopo l’approdo sulle coste italiane e greche quando a chiedere asilo sono le donne. Quello che dicono e non dicono i dati». Barbara Pinelli, portale ingenere.it, 5 luglio 2016);
le condizioni psicologiche, sanitarie e di permanenza delle donne nelle strutture di accoglienza italiane si rivelano essere al limite del sopportabile; le donne sono perciò doppiamente esposte a violenza: quella da cui provengono e quella in cui arrivano, in uno scenario di sovraffollamento che spesso le vede condividere gli spazi di accoglienza con numerosi uomini, costrette ad un’alimentazione insufficiente anche durante la gravidanza, o che le vede relegate e controllate a vista persino nell’educazione dei propri figli;
inoltre, nonostante si incontri anche personale qualificato, si è evidenziato come le risorse, professionali ed economiche, non siano sufficienti ad intercettare le donne che arrivano nei centri italiani da un trascorso di violenza, ignorando quando queste sono state vittime di soprusi prima o durante la traversata, o quando siano vere e proprie vittime di tratta, dal luogo remoto da cui sono partite, passando per una serie di compravendite, fino ad arrivare nel nostro Paese –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda intraprendere per garantire una mappatura più funzionale degli arrivi per genere non solo per l’osservazione dei dati ma soprattutto per garantire strutture consone alla permanenza delle donne richiedenti asilo e rifugiate, strutture dotate di personale qualificato e risorse che siano in grado di offrire un significativo percorso di cura e accoglienza nel rispetto della loro vulnerabilità e delle loro usanze. (4-13734)

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Presentata alla Camera la mia interrogazione per i lavoratori della Reggia di Venaria

VENARIA

Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-13571

COSTANTINO Celeste

COSTANTINO, DURANTI e RICCIATTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell’interno. — Per sapere – premesso che:
la Reggia di Venaria apre ufficialmente i suoi spazi al pubblico il 12 ottobre 2007, dopo circa 10 anni di lavori di ristrutturazione. Si è trattato di un cantiere su cui sono state impegnate grandi risorse provenienti in gran parte da fondi comunitari, cantiere che è stato per anni il più grande d’Europa. Oggi la Reggia di Venaria è tra i beni protetti dall’Unesco;
per l’organizzazione dei servizi necessari alla sua apertura la regione Piemonte predispone un bando di gara spedito in data 27 aprile 2007 che viene aggiudicato definitivamente all’A.T.I. CODESS CULTURA Soc. Coop – Società servizi socioculturali cooperativa sociale Onlus – Arethusa s.r.I – Cooperativa lavoratori ausiliari del traffico L.A.T – Cooperativa sociale P.G Frassati Onlus;
avverso tale aggiudicazione, in data 7 giugno 2007, la seconda in graduatoria, il concorrente REAR Soc. Coop (Capogruppo) e CO.PA.T Soc. Coop – Pulintec Servizi s.r.l. proponeva ricorso al Tar e vedendosi accolto il ricorso, subentrava nel servizio a CODESS dopo 8 mesi circa dall’apertura del complesso. L’intera vicenda giuridica si concluderà poi ben oltre la scadenza naturale dell’appalto, con il riconoscimento da parte del Tar delle ragioni di CODESS avverso le decisioni del neo-nato consorzio La Venaria Reale, il quale ha lasciato gestire il servizio per l’intero periodo a REAR, nonostante il fatto che, a livello giuridico, le ragioni dei concorrenti parevano comunque in continua alternanza;
l’ingresso della REAR è stato subitaneo e «traumatico»; nell’arco di 15 giorni i lavoratori che precedentemente operavano presso la Reggia di Venezia si sono visti recapitare le lettere di licenziamento da CODESS;
il Contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) applicato ai lavoratori da CODESS era il MULTISERVIZI PULIZIE FISE. Il subentro della REAR, che anche per tramite di funzionari della Reggia e per esplicita volontà della REAR, si voleva eseguire senza adempiere regolarmente al passaggio diretto delle maestranze ai sensi dell’articolo 4 del CCNL Multiservizi, normalmente previsto in cambio d’appalto, ma tramite «chiamate dirette» negli uffici della REAR (procedura anche «consigliata» dai funzionari della Reggia);
tale situazione ha visto nascere una vertenza sindacale tesa da un lato ad assicurare che tutti i lavoratori in appalto venissero assunti da REAR (che non considerava il caso di fattispecie un cambio di appalto) e dall’altro al riconoscimento dell’applicazione del CCNL finora applicato per garantire i livelli di reddito;
REAR era intenzionata infatti ad applicare un altro CCNL, notoriamente peggiorativo: il CCNL multiservizi unici;
la vertenza (sintetizzata nel verbale della prefettura si conclude, anche a seguito dell’intervento della regione Piemonte con la vittoria del sindacato a vedersi applicato il Multiservizi Fise;
ciononostante, alcuni lavoratori, a causa della paura, della confusione che regnava in quei giorni e anche a causa dei sedicenti consigli provenienti dai funzionari della Reggia si sono recati negli uffici REAR prima dell’accordo che ha posto fine alla vertenza e si sono visti applicati il Contratto collettivo nazionale di lavoro dell’Unione nazionale della cooperativa italiana (UNCI);
come si vedrà, questo ultimo fatto avrà per tali lavoratori delle conseguenze che si protraggono finora, anche perché il tipo di contratto a loro proposto è stato non solo il contratto UNCI ma addirittura un contratto «a chiamata»;
questo primo appalto finirà dopo un lungo periodo di proroga che vedrà il Consorzio (che nel frattempo si è costituito giuridicamente come ente strumentale) cercare di fronteggiare le vertenze sindacali nate per rivendicare una paga più consona al servizio fornito, l’applicazione del contratto di settore e la risoluzione di quelle storture ancora presenti a causa della politica sindacale di REAR che continuava ad applicare il CCNL UNCI a un discreto numero di lavoratori (anche provenienti da altri cantieri ma poi messi stabilmente ad operare in Reggia) e a causa del clima volutamente ostile e anti-sindacale della REAR;
il periodo si conclude comunque positivamente per i lavoratori, con la stipula del Protocollo d’intesa tra organizzazioni sindacali e consorzio teso a definire i contenuti del nuovo bando di gara e con la conseguente aggiudicazione definitiva dell’appalto all’A.T.I LA CORTE REALE s.r.l., di cui fa parte anche la REAR;
il CCNL applicato ai lavoratori da ATI LA CORTE REALE è quello accordato nel protocollo d’intesa e previsto nel bando di gara: il CCNL FEDERCULTURE;
l’organizzazione del lavoro, nonché la mobilità interna e le procedure per la sostituzione del personale dimissionario sono regolate da un accordo quadro tra azienda e Organizzazioni sindacali tuttora vigente. Fine principale di tale accordo è pervenire nel tempo a una sempre maggiore stabilizzazione del personale ad oggi purtroppo ancora precario, poiché «a chiamata»;
durante il periodo che va dall’aggiudicazione all’ATI LA CORTE REALE ad oggi, le condizioni e l’organizzazione del lavoro non sono rimaste del tutto inalterate: vi sono state delle riduzioni abbastanza contenute nel servizio riguardanti in un primo momento il lavoro «a chiamata» (inizialmente previsto anche nell’accordo quadro come lavoro da utilizzarsi nelle mostre temporanee al fine di garantire a questi lavoratori un bacino più o meno sicuro di ore da cui attingere) che è stato ridotto ai minimi termini e utilizzato o in via di grandi eventi straordinari o in via di sostituzione personale per ferie, malattie o aspettative –:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non intendano, per quanto di competenza, nella gestione della vertenza assumere ogni iniziativa che favorisca l’applicazione dei contratti di riferimento Federculture che tradizionalmente tutelano e migliorano la qualità del lavoro e i termini contrattuali e valorizzano la professionalità delle maestranze, oggi perlopiù assunte con contratti multiservizi, essendo il contratto Federculture l’unico contratto specificatamente indirizzato al settore culturale, soprattutto in ambito imprenditoriale. (4-13571)

Al seguente link l’interrogazione per monitorare la risposta dei ministeri interrogati

http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=4/13571&ramo=CAMERA&leg=17

 

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Un’interrogazione a cui il governo non ha mai risposto. Oggi l’attentato al Presidente del Parco dei Nebrodi

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Io ed Erasmo Palazzotto presentammo questa interrogazione parlamentare il 12 febbraio. Il Governo non ha risposto. Oggi la nostra solidarietà al Presidente del Parco dei Nebrodi. Un agguato a fucilate. A questo siamo.

Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-12088

Martedì 16 febbraio 2016, seduta n. 570
PALAZZOTTO e COSTANTINO. — Al Ministro dell’interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali . — Per sapere – premesso che:
in Sicilia, nel periodo di programmazione 2007-2014 sono stati erogati fondi, tramite la politica agricola comune, per complessivi 5,185 miliardi di euro;
l’erogazione di tali fondi, sia per quanto concerne la parte di competenza regionale sia per quanto concerne la parte direttamente di competenza ministeriale, appare agli interroganti poco trasparente e di difficile lettura;
negli ultimi anni, tanto le inchieste degli organi inquirenti quanto i numerosi servizi giornalistici, hanno evidenziato l’interesse della mafia nel campo delle speculazioni e delle truffe relative alla contribuzione comunitaria nel settore dell’agricoltura;
tali vicende sono ben descritte nel documentario «fondi rubati all’agricoltura» realizzato da Alessandro Di Nunzio e Diego Gandolfo, i quali hanno mostrato come una rilevante quota dei finanziamenti comunitari per l’agricoltura sia stata indirizzata a beneficio di terreni agricoli di proprietà di noti esponenti mafiosi o di soggetti ad essi direttamente o indirettamente riconducibili;
tale lavoro, ripreso dall’edizione del Fatto Quotidiano in data 12 gennaio 2016 e dalla trasmissione Rai «Presa Diretta» del giorno 17 gennaio 2016 ha ben messo in luce il meccanismo contorto che ha consentito di dirottare ingenti finanziamenti comunitari verso le casse delle organizzazioni mafiose;
i controlli antimafia e la conseguente certificazione al fine di vedersi riconosciuto il contributo comunitario, sono obbligatori per cifre superiori ai 150 mila euro, in sostanza tutto ciò che è sotto tale soglia sfugge al controllo di legalità e, nel corso degli anni, questa norma ha favorito gli interessi mafiosi nel settore agricolo;
in data 15 gennaio 2016 l’edizione palermitana de La Repubblica dava conto dell’attività della prefettura di Messina, di concerto con l’Ente Parco dei Nebrodi, finalizzata all’individuazione di eventuali interessi mafiosi su terreni dati in concessione. Questo lavoro sinergico tra istituzioni ha portato alla scoperta di numerosissime posizioni prive del prescritto certificato antimafia;
alla base del lavoro di verifica e controllo vi è il protocollo pilota per i controlli nelle assegnazioni dei terreni pubblici anche di valore inferiore ai 150 mila euro sottoscritto dall’Ente Parco dei Nebrodi, dalla prefettura di Messina e dalla prefettura di Enna. Il protocollo pilota è stato esteso a tutti gli enti regionali;
al parco dei Nebrodi e al comune di Troina sono state revocate assegnazioni di terreni di proprietà di enti pubblici un totale di 4.200 ettari a cui sono state assegnate risorse, a valere sui fondi Agea e fondi dell’Unione europea per un importo di 2,5 milioni di euro;
dato non trascurabile è che su 25 certificazioni richieste ben 23 sono state rigettate dalle prefetture di Messina ed Enna per reati come l’associazione mafiosa e per legami con i clan dei Bontempo Scavo, dei Conti Taguali, dei Santapaola e dei clan «tortoriciani» e dei Cesarò;
per la propria attività di verifica il presidente dell’Ente Parco dei Nebrodi, dottor Giuseppe Antoci, ha ricevuto minacce e intimidazioni tanto da essere sottoposto a regime di protezione da parte delle forze dell’ordine;
gli interessi mafiosi sulla concessione dei fondi europei emergono anche dall’indagine della procura di Caltagirone che ha portato al sequestro di beni pari a tre milioni di euro per concessioni di contributi comunitari su terreni nella disponibilità delle associazioni mafiose e all’arresto di 9 soggetti tra imprenditori e titolari di centri di assistenza agricola, i quali presentavano domande di aiuti con fondi dell’Unione europea su terreni che in realtà non erano di loro proprietà e certificavano con prestanome finte attività. In verità la quota sequestrata rappresenta a mala pena un quarto dei finanziamenti sottratti illecitamente in tale zona;
fatto singolare è che i centri di assistenza agricola non sono tenuti a verificare la regolarità dei contratti d’affitto di chi richiede le sovvenzioni, limitandosi a controlli superficiali a cui si aggiunge la compiacenza di alcuni funzionari e un complesso sistema di prestanome che ha consentito, ad esempio, a una associazione criminale di Caltagirone di ricevere contributi dichiarando la proprietà di terreni della diocesi di Agrigento e dell’aeroporto di Trapani;
la mancanza di misure di controllo avrebbe consentito a Salvatore Seminara, reggente della famiglia mafiosa di Enna fino al suo arresto nel 2009, in 12 anni, di poter sottrarre finanziamenti pubblici, ottenuti in modo fraudolento, per un importo di 700 mila euro;
secondo la Corte dei conti nel 2013 le truffe acclarate in Sicilia e in Campania ammontavano a 200 milioni di euro, di cui il 70 per cento irrecuperabili. La Corte afferma che in Sicilia negli ultimi dieci anni sono stati accertati oltre 300 casi per un valore intorno ai 100 milioni di euro che rappresenta una minima parte della quantità di denaro erogato che si aggira sui 7 miliardi di euro, quindi l’accertato fraudato corrisponde «fisiologicamente» al 10 per cento, ossia quasi un miliardo di euro a danno della comunità e degli agricoltori onesti;
l’Ufficio europeo per la lotta antifrode, OLAF, mette la Sicilia tra le regioni che rappresenta il più alto tasso di truffe comunitarie con oltre il 40 per cento di tutte le frodi agricole denunciate in Italia, affermando inoltre che se la truffa viene scoperta l’attività di recupero delle risorse è di un misero 6 per cento, ossia poco più di 6 milioni di euro sui 100 milioni certamente frodati che sono stati oggetto di recupero –:
quali iniziative i Ministri interrogati intendano intraprendere al fine di aumentare la vigilanza nelle erogazioni dei fondi comunitari relativi all’agricoltura;
se il protocollo pilota, relativo alla verifica delle posizioni anche per contributi inferiori ai 150 mila euro, non possa essere esteso al territorio nazionale;
quali strumenti di controllo incrociato e di contrasto si intendano adottare per potenziare l’attività di verifica e controllo nell’erogazione dei fondi da parte di AGEA che avviene per il tramite dei centri di assistenza agricola che, come illustrato in premessa, si sono resi complici nel favorire tramite documentazioni false, le associazioni mafiose della zona di Caltagirone. (4-12088)

http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=4/12088&ramo=CAMERA&leg=17