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#Save194. La mozione di Sel

Martedì prossimo discuteremo in Aula la mozione di Sel – depositata il 20 maggio – sulla piena applicazione della legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza. Proponiamo di fissare un tetto per i medici obiettori che non superi il 30%, chiediamo la costituzione di un albo dei medici di famiglia obiettori e la pillola abortiva somministrata solo in regime di day hospital (come già avviene in Emilia Romagna). Inoltre promuoviamo delle campagne informative sull’assenza per legge di un diritto all’obiezione di coscienza per i farmacisti.

Nella nostra mozione ricordiamo inoltre che “in ambito medico sanitario il diritto all’obiezione di coscienza è espressamente codificato e disciplinato per legge”. Per l’aborto facciamo riferimento all’articolo 9 della legge n. 194 del 1978; per la sperimentazione animale, l’obiezione di coscienza è disciplinata dalla legge n. 413 del 1993; per la procreazione medicalmente assistita, c’è l’articolo 16 della legge n. 40 del 2004.

> Leggi il testo in pdf della mozione 1-45

 

 

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L’Italia ratifica la Convenzione di Istanbul

Il Trattato passa alla Camera con voto unanime. Il nostro è il quinto paese europeo ad approvare il testo. Per essere operativo manca l’ok di altri stati. È il primo passo concreto, ma la strada è ancora lunga

di Luisa Betti (Il Manifesto)

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È passata ieri alla camera e all’unanimità, la ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica – nota come Convenzione di Istanbul. L’Italia è il quinto Paese a ratificare questa convenzione, dopo Turchia, Albania, Portogallo e Montenegro, e per ora questo atto concreto, che passa al senato, fa tirare un sospiro di sollievo a tutte quelle donne, associazioni, società civile, che si sono battute sul campo perché questo obiettivo fosse raggiunto. Un merito condiviso con quelle donne che nelle istituzioni hanno accettato di ascoltare e che si sono mosse contro la violenza di genere, prima fra tutte la presidente della camera, Laura Boldrini, di cui l’aula di ieri ha riconosciuto «la forza e il coraggio» in questa battaglia.[Read more]

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Convenzione di Istanbul approvata all’unanimità alla Camera

Dopo Albania, Montenegro, Repubblica Ceca, Turchia anche l’Italia sta approvando la Convenzione di Istanbul. Votata all’unanimità alla Camera (545 su 545), ora passa al Senato. Portiamo avanti insieme questa battaglia comune contro la violenza maschile sulle donne. È un forte segnale politico da non sottovalutare: il nostro Paese dovrà essere promotore per la ratifica negli altri grandi Stati europei.

Non posso non iniziare che ricordando Fabiana ed esprimendo la vicinanza alla sua famiglia, colpita da un dolore troppo grande e troppo ingiusto. La confessione dell’uccisione di Fabiana, avvenuta ieri da parte di un sedicenne, suo coetaneo e concittadino di Corigliano Calabro lascia sgomenti. Durante l’interrogatorio, i giornali – che continuano a titolare colpevolmente “dramma della gelosia” – ci dicono che il ragazzo non ha dimostrato il ben che minimo pentimento per aver accoltellato e bruciato viva la sua fidanzata.

È chiaro che un fatto del genere sciocca e indigna. Eppure quello che è accaduto a Corigliano non è diverso da ciò che si consuma quotidianamente: quello che cambia ogni giorno è solo il nome, l’età, la provenienza geografica, lo stato sociale della vittima e del carnefice. Perché purtroppo quando pronunciamo la parola “femminicidio” ci riferiamo proprio alle tante Fabiane di questo Paese.

Questa Convenzione, che l’Italia si appresta a ratificare, sottolinea la necessità di iniziare un percorso culturale che parta dallo sguardo sociale sulle donne. Parta cioè dalla decostruzione di quell’idea per cui tutto dipende dai nostri comportamenti. C’è ancora chi pensa che se fossimo donne ubbidienti e caste forse gli uomini non sarebbero così violenti: come se una prostituta invece meritasse di essere violentata, picchiata o uccisa. No, la verità è che “Troppo non è mai abbastanza”, come ci ha raccontato Ulli Lust, facendoci vergognare del nostro Paese. Donne pensate e immaginate come oggetti di proprietà, come cose da possedere. E più vivono condizioni di precarietà economica e sociale e più facile diventa la reificazione.

Che c’è di meglio per esempio delle donne migranti? Badanti sequestrate dentro le case degli anziani che accudiscono. Famiglie italiane che pensano che pagando un lavoro comprano la vita di queste donne. Ho intrapreso un viaggio per i centri antiviolenza del nostro Paese. L’ho voluto chiamare #RestiamoVive. La prima tappa è stata proprio a Cosenza al Centro Roberta Lanzino a pochi passi da Corigliano. Bene, quel Centro qualche anno fa è stato costretto a chiudere la Casa Rifugio per donne maltrattate per mancanza di fondi. E sempre in questo viaggio al Centro Ester Scardaccione di Potenza ho ascoltato, tra le altre, le testimonianze di tante donne straniere a cui per lavorare veniva chiesto anche di accettare clausole non scritte come far godere sessualmente il malato o un parente vicino.

In questo quadro, bisogna decostruire modelli e stereotipi. Bisogna avere la capacità di ripensare un nuovo concetto di cittadinanza, per tutti coloro che nascono e vivono in Italia. Ed ecco perché un ruolo centrale in questo percorso lo rivestono la scuola e l’università, i mezzi di comunicazione, l’informazione. La Convenzione che stiamo per ratificare al Capitolo III – dall’art. 12 all’articolo 17 – ci parla proprio di questo.

Dell’importanza, per esempio, dell’insegnamento dell’educazione sentimentale, della formazione all'”affettività” per far sì che i bambini non seguano quelli che in tutti questi anni sono stati spacciati come elementi innati e che invece sono soltanto le costruzioni sociali e culturali del maschile e del femminile. Bisogna mettersi – questa volta sì – dalla parte di tutte le bambine e di tutti i bambini. Un accesso alla scuola libero, pubblico e laico come ha stabilito il referendum a Bologna. In cui restituire a ogni individuo che nasce la possibilità di autodeterminarsi nel modo che gli è più congeniale, indipendentemente dal sesso a cui appartiene.

In quest’ottica di formazione di una classe di insegnanti nuovi, un ruolo importante lo riveste l’Università con gli studi di genere o gender studies, come vengono chiamati nel mondo anglosassone, che rappresentano un approccio multidisciplinare e interdisciplinare allo studio dei significati socio-culturali della sessualità e dell’identità di genere. In Italia anziché essere valorizzati sono sotto scacco: nei tagli applicati dalla riforma Gelmini i primi corsi che sembrano scomparire sono proprio questi. Noi di Sinistra ecologia e libertà siamo intervenuti anche con successo aprendo un dibattito pubblico che ha bloccato la soppressione dei corsi.

Da qui si riparte. Da un’ammissione di colpevolezza da parte della politica, dall’atteggiamento miope di chi in questi anni ha preferito parlare di “sicurezza” e convocare Consigli dei Ministri d’urgenza quando era del tutto evidente che l’emergenza fosse strutturata e radicata. Da chi utilizza il corpo delle donne per portare aventi della propaganda razzista e moralista che non contrasta ma aumenta l’odio nel Paese.

Vede signora Presidente io tra qualche giorno farò 34 anni, sono nata nel 1979, sono figlia della tv commerciale, mi sono imbevuta nel corso della mia vita di cartoni animati con principesse e streghe, telefilm americani con papà a lavoro e mamme a fare biscotti, programmi come “Non è la Rai”. Sognavo da adolescente di essere belle come quelle ragazze e quindi lungi da me uno sguardo giudicante o bigotto nei confronti di chi investe sulle propria fisicità e sul mondo dello spettacolo. Ma oggi c’è un vero e proprio abuso mediatico del corpo femminile che viene associato a qualsiasi prodotto da reclamizzare fino ad arrivare addirittura a inscenare un femminicidio per pubblicizzare un panno per la polvere.

Faccio parte di quella generazione che ha ereditato dal movimento delle donne il concetto di libertà e di autodeterminazione e tanto altro ancora. E pensavo ingenuamente che quei concetti e quei diritti nessuno li avrebbe più messi in discussione. Oggi invece di parlare della precarietà come tratto della mia generazione che figli non ne fa più perché non è neanche nelle condizioni di poterli fare devo ancora stare qui a difendere la legge 194 dagli obiettori di coscienza e dai movimenti pro life spalleggiati da corpuscoli politici fanatici e anacronistici; e a rabbrividire sui dati dell’aborto clandestino.

Con la ratifica a Istanbul rinunciamo a tutto questo e proviamo finalmente a ridare dignità a Fabiana, a tutte le vittime, a tutte le donne e gli uomini di questo Paese.