I centri antiviolenza rischiano di chiudere proprio per il decreto “contro il femminicidio” che doveva salvarli. È questo il paradosso creato dalla legge che ha stanziato 17 milioni di euro per gli anni 2013/2014 per contrastare la violenza di genere: solo due milioni di questi andranno alle strutture che accolgono e assistono le donne vittime di violenza. Briciole che saranno ripartite tra i centri individuati e arriveranno a 3.000 euro all’anno per ogni struttura: soldi con cui non si potranno nemmeno pagare le bollette.

Il Governo ha svolto una mappatura per niente trasparente, non rispettando né criteri qualitativi né le linee guida della Convenzione di Istanbul che dal 1° agosto sarà legge. Il tutto mentre ancora il Piano nazionale Antiviolenza non è stato formulato e la delega alle Pari opportunità continua a rimanere nelle mani del premier. Abbiamo denunciato questa situazione, in una conferenza stampa partecipatissima, insieme a tutte le parlamentari di Sel e le operatrici dei centri Dire, donne in rete contro la violenza, provenienti da tutte le regioni d’Italia, che ho avuto la possibilità di conoscere durante il mio viaggio #RestiamoVive nelle strutture del Paese.

Renzi e il Partito democratico, forte del 41% ottenuto alle elezioni europee e del parlamento più rosa della storia, corrano subito ai ripari e affrontino la violenza di genere come fenomeno strutturale, non con ennesimi provvedimenti contraddistinti dall’approccio securitario ed emergenziale. Servono strumenti ispirati alla Convenzione di Istanbul: dalla prevenzione agli studi di genere, dall’introduzione dell’educazione sentimentale nelle scuole alla cultura.

Oggi, giovedì 10 luglio, alle ore 14.30 presso la Sala Stampa di Montecitorio si svolgerà la conferenza stampa delle associazioni delle donne, delle rappresentanti dei centri antiviolenza e delle reti di donne contro la violenza con le parlamentari di Sel sul reparto dei fondi per il finanziamento ai centri antiviolenza in occasione della Conferenza Stato Regioni che dovrà decidere sul tema.

Il nuovo piano di finanziamento del Governo per il 2013 e il 2014 previsto dalla legge 119 – quella contro il femminicidio, sta scatenando le proteste degli operatori di tutta Italia. Se confermato il piano, rischia di andare contro la Convenzione di Istanbul che chiede un maggiore impegno finanziario delle istituzioni contro la violenza di genere.

Intervengono alla conferenza stampa Titti Carrano, Presidente D.i.Re Donne in rete contro la violenza (che raccoglie 63 centri in tutta Italia ), Anna Pram Vicepresidente D.i.Re Donne in rete contro la violenza, partecipano le deputate di Sel Celeste Costantino, Annalisa Pannarale, Marisa Nicchi e Donatella Duranti.

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Femminicidio, solo 6mila euro per ogni centro antiviolenza. È questa la prevenzione del Governo Renzi?

La legge cosiddetta “contro il femminicidio”, che abbiamo sempre definito un pacchetto sicurezza omnibus, ha stanziato 17 milioni di euro per gli anni 2013/2014 per prevenire e contrastare il fenomeno della violenza sulle donne. Ma solo poco più di un decimo del finanziamenti andranno ai Centri antiviolenza e alle Case rifugio, strutture che si fanno carico da decenni in tutta Italia di accogliere e offrire servizi alle donne vittime di violenza.
In base alla mappatura svolta dal Governo per i centri sono previsti 2 milioni e 260 mila euro: un finanziamento che sarà ripartito tra i 352 centri e non arriverà a sfiorare il 6.000 euro per ogni struttura. Briciole con cui si potranno a malapena pagare le bollette.
Il Governo Renzi continua a sottrarre e negare fondi alla prevenzione della violenza maschile sulle donne: la parte corposa degli stanziamenti andranno alle Regioni che finanzieranno progetti sulla base di bandi. Mentre il Piano nazionale Antiviolenza non è stato ancora formulato.
Il premier Renzi si presenterà domani all’inaugurazione del semestre europeo senza aver ancora dato la delega alle pari opportunità. Ciò rappresenta l’ennesima scelta in contrasto con la Convenzione di Istanbul che, votata all’unanimità dal Parlamento, entrerà in vigore dal prossimo primo agosto.

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Lo sguardo di Celeste Costantino è lucido e rassicurante a tal punto che potresti anche dimenticarti dell’orrore che ci ha raccontato la cronaca di queste ore. Sui giornali vediamo il sangue delle donne e degli indifesi: dalle coltellate di Carlo Lissi, l’informatico di Motta Visconti (Mi) che ha ucciso la moglie e i figli, all’arresto di Massimo Giuseppe Bossetti, il muratore accusato dell’omicidio di Yara Gambirasio nel 2010. Ma lo sguardo di Celeste è abituato sia alla limpidezza del mare, quello della sua Reggio Calabria, sia ai profili spigolosi delle palazzine del Gebbione, il quartiere inquinato dalla ’ndrangheta in cui è cresciuta. Lei, 35 anni, una laurea in Filosofia, vive a Roma, nella borgata multietnica di Torpignattara, anche adesso che è deputata alla Camera per Sel. È sua, e di altre 8 deputate, la proposta di introdurre l’ora di educazione sentimentale nelle scuole. Un’iniziativa che, se fosse attuata, andrebbe a colpire alla radice il fenomeno del femminicidio.

Come possiamo uscire in modo costruttivo dalla rabbia e dallo sgomento in cui ci ha portati la cronaca di questi giorni?
«Partiamo dall’uso delle parole: il linguaggio va cambiato. Se oggi diciamo femminicidio, e non più dramma della gelosia o raptus della follia, è perché il movimento delle donne ha lottato per modificare il modo in cui interpretiamo quello che accade».

Qual è la seconda mossa?
«Bisogna dare il massimo sostegno ai centri che aiutano le donne a uscire dalla condizione di vittima dopo aver subito una violenza. Al momento, queste strutture specializzate sono poche e affidate solo alla sensibilità degli enti locali. Non basta».

Arriviamo così al cuore della sua proposta: portare nelle scuole l’educazione sentimentale.
«Un fatto rivoluzionario. Da una parte vorrei più formazione per gli insegnanti, perché sappiano affrontare il rapporto con i ragazzi rispettando le differenze, non solo quelle tra maschi e femmine, ma anche culturali e religiose. Dall’altra, chiedo di far crescere gli studenti dedicando un’ora del loro programma settimanale all’affettività, incrociando l’educazione sessuale all’educazione civica. Abbiamo pensato la proposta di legge per le medie e le superiori, ma in molti mi hanno scritto suggerendo che venga estesa anche alla scuola dell’infanzia».

E i libri di testo?
«Io non mi ricordo una sola filosofa, una sola scrittrice, un solo personaggio storico femminile che ho studiato in classe. Esistono, però non sono state valorizzate nel percorso scolastico. Farlo aiuterebbe la formazione delle nuove generazioni. Ed è importante, perché la crisi sta mettendo alla prova il rapporto tra uomo e donna».

Attraverso l’associazione daSud, lei si occupa di criminalità. Esiste una relazione fra la mafia e il femminicidio?
«La ’ndrangheta è uno dei sistemi più machisti e maschilisti che esistano. La donna è una “cosa” che appartiene agli uomini e viene strumentalizzata. Per esempio nelle faide: quando vuoi far pagare un conto a qualcuno, non uccidi lui, ammazzi sua madre, sua figlia, la sua fidanzata. E la donna viene usata per screditare i pentiti e per disorientare l’opinione pubblica: una persona non è eliminata perché ha dato fastidio alle cosche, ma per una “volgare” questione di “femmine”. Dobbiamo dire basta».

Lei ha lavorato ai testi del libro a fumetti sullo stupro di una studentessa calabrese: Roberta Lanzino – Ragazza (Round Robin Editrice). Nell’appendice riporta la sua esperienza di vita in un ambiente universitario maschilista di cui sono complici anche le donne.
«La cosa che mi ha colpito, confrontadomi con le altre studentesse sull’omicidio di Roberta, è stata la totale assenza di solidarietà. Le addossavano anche la colpa di aver preso, per andare al mare, la strada poco frequentata in cui è stata violentata e uccisa da 2 componenti della ’ndrangheta. La cultura maschilista le donne l’hanno non solo subita, ma perfino condivisa. Io, per prima, non ne sono immune. Ho seguito un percorso interiore: sì, ogni giorno devo fare un grande lavoro su me stessa».

Roberto Moliterni – Donna Moderna