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Sul diritto alla salute delle donne. #Save194

Al Ministro della salute.
— Per sapere – premesso che:
in data 4 marzo, numerosi giornali hanno riportato la notizia di una giovane donna genovese di diciassette anni che ha rischiato di morire per un aborto provocato dall’assunzione di 9 pillole di Cytotec, un farmaco curativo dell’ulcera, e indicato da alcuni blog internet come un farmaco abortivo;
il fatto sarebbe successo nell’autunno del 2013;
la notizia è emersa dopo la denuncia da parte della madre della ragazza nei confronti dell’ex fidanzato della figlia, che si sarebbe procurato in maniera regolare la ricetta per il medicinale presso il medico di famiglia dicendo di avere bisogno di una cura post-antibiotica;
il ventenne sostiene di aver agito di comune accordo con l’allora fidanzata, prima ancora di accertare l’effettiva gravidanza;
in Italia, come denunciano molte associazioni di medici e di donne vige una concreta difficoltà di reperire un medico che sia disponibile ad eseguire aborti alle donne che vi si rivolgono presso le pubbliche strutture ospedaliere (mancanza di medici non obiettori e ridotti posti letto), in inottemperanza con la legge che tutela il diritto alla salute e con la legge 194;
il Comitato per i diritti sociali del Consiglio d’Europa ha dichiarato l’Italia colpevole del mancato rispetto del diritto all’aborto. Un diritto diventato acquisito nel 1978, quando, appunto, la legge 194 ha sancito la legalità nonché la disciplina dell’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), che prima era reato;
questo costringe molte donne a ricorrere a rimedi chirurgici e farmacologici che mettono a rischio la loro salute e la loro stessa vita, perché viene troppo spesso negato loro di essere assistite, come la legge prevede, presso strutture mediche laiche –:
alla luce del fatti esposti in premessa e delle numerose interrogazioni parlamentari già rivolte al Ministro come intenda agire per garantire un diritto sancito dalla legge n. 194 rispettare il diritto all’aborto delle donne, e che genere di politiche intenda mettere in campo per garantire la presenza costante di medici non obiettori negli ospedali e adeguarsi agli standard europei. (4-08302)

COSTANTINO, NICCHI, FERRARA, SCOTTO, RICCIATTI, KRONBICHLER, MARCON, FRATOIANNI, MELILLA, SANNICANDRO e DURANTI.

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Buon #8marzo a tutte. Anche a chi pensa che non ce ne sia bisogno

Oggi sul Corriere della sera Debora Serracchiani dichiara di non voler essere chiamata avvocata o presidentessa. Il perché non lo dice ma in realtà si capisce benissimo. Fa parte di quelle donne di potere che per dimostrare di essere migliori delle altre donne, fa l’uomo. Un classico visto e rivisto che però nelle donne renziani fa ancora più ridere. Comunque, va avanti e afferma che a differenza di Laura Boldrini non considera la questione del linguaggio prioritaria meglio la battaglia contro il femminicidio. Peccato che non lo sia per il suo capo! Visto che i fondi destinati ai centri antiviolenza non bastano neanche per pagarne le bollette.

Ma poi cara Debora Serracchiani mi puoi spiegare perché una cosa dovrebbe escludere l’altra? Mi puoi spiegare perché porre l’attenzione sul linguaggio significa togliere qualcosa al contrasto alla violenza di genere? Voi del Pd non le sapete fare due cose contemporaneamente? Oppure è semplicemente un attacco gratuito a chi ha osato criticare il vostro Capo Renzi? Perché è chiaro che la pancia del Paese sta con voi. Con tutti i problemi che ci sono ci dobbiamo pure preoccupare di declinare al femminile le professioni che faticosamente ci siamo conquistate? Certo che no!

L’Europa è sempre è solo quello che raccontate voi. E allora buon 8 marzo a tutte. Buon 8 marzo anche a te Debora Serracchiani. Sperando che non ti dispiaccia essere associata a noi donne almeno in questa giornata.

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Lo zoning possibile. Lunedì 2 marzo ore 17.30, – Casa internazionale delle donne

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Zoning nasce come risposta possibile ai problemi di convivenza civile che si manifestano in alcune aree della città maggiormente interessate dal fenomeno della prostituzione di strada… è un approccio dinamico di intervento, un dispositivo di politiche sociali che lavora incessantemente per prevenire i conflitti sociali e quindi lavora sulla mediazione dei conflitti in atto o potenziali…
(da Lo Zoning possibile, a c. di F. Carchedi, U. Stridbeck, V.Tola, Franco Angeli 2008)

La Casa Internazionale delle Donne intende dare un contributo fattivo alle politiche sociali della città e si propone di riflettere in più incontri sulle strategie possibili relativamente allo Zoning, un complesso sistema integrato di servizi per affrontare un fenomeno multiplo, variegato e in continuo mutamento. Come dimostrano precedenti
esperienze, oltre alla soluzione di tipo repressivo si rende infatti necessaria la scelta di rafforzare il servizio sociale competente per cogliere la complessità del fenomeno e affrontarlo a seconda delle sue diverse sfaccettature.

Intervengono
FRANCESCO CARCHEDI,
GIORGIA SERUGHETTI,
VITTORIA TOLA.

Partecipano: Sabrina Alfonsi, Marta Bonafoni, Tatiana Campioni, Alessandra Cattoi*, Monica Cirinnà, Stefano Ciccone, Daniela Cirulli, Celeste Costantino, Francesca Danese*, Elettra Deiana, Susy Fantino*, Oria Gargano, Emiliano Monteverde, Maria Grazia Ruggerini, Andrea Santoro, Patrizia Sentinelli
* in attesa di conferma

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Zona a luci rosse a Roma? Meglio un percorso partecipato che non si limiti a creare zone ghetto

Operazione anti prostituzione a Roma

Ci sono questioni che vanno maneggiate con cura e che non è possibile aggirare nella loro complessità. La prostituzione è senz’altro una di queste. Farei perciò molta attenzione a sentirsi depositari di verità assolute, a esibire la presunzione di avere tutte le risposte quando il più delle volte non si conoscono neanche le domande giuste.

Allora forse per prima cosa è bene sgomberare il campo da alcune ipocrisie. Il tentativo di creare un quartiere a luci rosse a Roma risponde soltanto a un’esigenza: andare incontro ai cittadini del’Eur che non ne possono più di avere le prostitute sotto casa, con tutto quello che ne comporta.

Tutto parte da qui. Non è per tutela, non è per liberare le donne. È un’operazione di decoro urbano che risponde all’esasperazione degli abitanti di quel quartiere. Non c’è giudizio su questo: credo sia un diritto dei cittadini chiedere di poter dormire senza sentire gemiti ed urla, accompagnare i bambini a scuola senza attraversare il tappeto di profilattici usati, non dover convivere con un sistema che tiene dentro altri aspetti collaterali come la droga e la violenza.

Partiamo da qui, ma proviamo a non fermarci. Perché se il tema è sgomberare lo sguardo allora basta un ghetto lontano dalle abitazioni, se invece vogliamo anche porci il tema di chi su quelle strade ci sta allora la questione è più ampia. E allora se c’è l’impegno da parte di tutti a rispondere a più esigenze, sperimentare un modello può diventare un’opportunità.

Chi sono quindi le ragazze che stanno in strada? Anch’io penso, come dice Giorgia Serughetti, che le prostitute non sono tutte vittime. Il modello svedese – che sancisce l’idea che la prostituzione è una violenza perpetuata dagli uomini sulle donne – mi ha sempre lasciata perplessa. Delle differenze vanno fatte sempre: le escort, e non è un caso che vengano chiamate così, probabilmente fanno una scelta, chi sta in strada è nella stragrande maggioranza costretta a prostituirsi. Questo è quello che ci dicono le unità di strada, le operatrici dei centri antiviolenza, chi da sempre si occupa di loro.

C’è poi un altro effetto, confermato da varie indagini. Gli uomini dei racket evitano sempre più di lavorare dove la prostituzione è osteggiata e preferiscono paesi come l’Olanda e la Germania, dove il mercato del sesso è perfettamente legale. Nelle società delle sex workers con assistenza e pensione è più difficile che la polizia indaghi e anche l’opinione pubblica è piuttosto indifferente. Salvo poi scoprire quasi per caso, come è successo in Germania, l’esistenza di un bordello con più di 100 ragazze tenute in stato di quasi schiavitù e marchiate a fuoco come animali.

Questo a testimonianza che non esiste una linearità delle soluzioni e che c’è bisogno di un combinato disposto di diversi agenti. Si vuole creare un luogo? Questo luogo deve contenere dei presidi stabili di assistenza sanitaria, devono essere presidiati dalle forze dell’ordine, devono avere delle figure di ascolto. Siamo pronti a tutto questo? Siamo pronti a garantire che questi soggetti possano operare senza essere mandati via dagli uomini delle mafie? Dobbiamo fare cioè in modo che il percorso si delinei così e dentro un quadro di mediazione sociale.

Gli abitanti dell’Eur hanno quindi ragione a rivendicare il diritto di non sentirsi “assediati” nel loro quartiere, ma devono sapere fino in fondo che cosa si consuma sotto le loro case. Lo dobbiamo saper tutti: lo sguardo non può fermarsi alle ragazze, ma deve riguardare i loro sfruttatori e i loro clienti. Padri, figli, mariti. Forse l’educazione sentimentale nelle scuole, su cui abbiamo presentato una proposta di legge che aspetta da quasi due anni di essere discussa, potrebbe servire anche a questo.

Allora accettiamo la sfida, ma dentro questo quadro. Raccogliamo allora la possibilità che ci mettono davanti il sindaco Marino e il mini sindaco Santoro. Facciamolo però con delle garanzie: deve essere un percorso partecipato che si fa carico di questa complessità, senza limitarsi a spostare il problema. Quello che non si vede dovrebbe fare male lo stesso. A volte fa male ancora di più.

Via Huffington Post Italia