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Un esposto alle Procure per sapere com’è morto Majid

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Ho firmato l’esposto presentato alle Procure sugli scontri avvenuti nell’agosto 2013 nel Cie di Gradisca. Vogliamo che la morte di Majid non resti senza risposte. Quel Cie, teatro di pestaggi e violenze, non deve riaprire mai più. Vogliamo che queste “nuove carceri” siano subito chiuse e che finalmente si cominci ad accogliere i migranti e a non rinchiuderli in strutture che negano loro i diritti fondamentali. #MaiPiùCie

Leggi il comunicato di LasciateCIEntrare

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Il decreto Lorenzin su droghe e farmaci è stato appena votato alla Camera. Ora passerà al Senato dove avverrà certamente il regolamento di conti all’interno della maggioranza. Avremmo voluto discutere questa legge, ma il Governo ha preferito troncare qualsiasi dibattito apponendo la fiducia. Sono più di 500 le sostanze classificate nelle varie tabelle a corredo del decreto-legge, ma nelle dichiarazioni di voto si è parlato quasi esclusivamente di cannabis, con il classico approccio medievale e oscurantista. Mentre nel mondo la marijuana si liberalizza e legalizza per uso terapeutico e ricreativo, in Italia pezzi dell’attuale maggioranza di governo parlano ancora di “sballo”, “spinelli dannosi per il cervello”, e addirittura di pericolosissima cannabis OGM!!?!

Abbiamo votato no a questo decreto. Cercando di fare una operazione di svelamento da un lato – la Lorenzin inizialmente voleva reintrodurre la Fini-Giovanardi sotto mentite spoglie – e denunciando dall’altro la mancanza di una seria politica sulle droghe, che influisce sul sovraffollamento delle carceri e l’emarginazione dei tossicodipendenti nella nostra società.

Con il nostro no abbiamo voluto ricordare quelle 10mila persone finite nelle carceri per reati collegati ad una legge incostituzionale, ingiusta e criminogena che ha rinchiuso in cella i tossicodipendenti. Abbiamo ricordato Stefano Cucchi, che sarebbe ancora vivo se la Fini-Giovanardi avesse fatto la distinzione tra droghe leggere e pesanti. Abbiamo ricordato Federico Aldrovandi, ucciso da uomini in divisa che gli cercavano addosso chissà che cosa durante un controllo. Gli applausi e le ovazioni ai poliziotti responsabili della sua morte ieri al Sap fanno ancora più male: ho appena presentato una interrogazione al ministro dell’Interno Angelino Alfano.

Quello che è avvenuto ieri al Grand Hotel di Rimini, durante il congresso del sindacato di polizia Sap (secondo sindacato in Italia per numero di iscritti) è stato un atto vile e indegno. La quasi totalità dei delegati sindacali presenti in platea si è alzata in piedi per dedicare cinque minuti di applausi, una vera e propria standing ovation, all’ingresso in sala dei quattro poliziotti condannati in via definitiva per l’omicidio di Federico Aldrovandi. Proprio quei quattro agenti, appena tornati in servizio, definiti dal procuratore generale della Corte di Cassazione “schegge impazzite che hanno agito in una sorta di delirio”.

Abbiamo chiesto al ministro Alfano di intervenire con provvedimenti urgenti nei confronti di chi era presente al congresso. Non basta la solidarietà alla mamma di Federico. Né la solita giustificazione delle “mele marce”: come dovremmo definire tutti quelli che hanno applaudito? Come dovremmo definire quello spettacolo indecoroso?

Le droghe, il decreto Lorenzin, i detenuti, le condizioni delle carceri, i tossicodipendenti, la tortura, gli abusi di potere, l’antiproibizionismo, le narcomafie. Non sono argomenti separati: sono il modo in cui organizziamo la complessità della società, lo sguardo con cui vediamo il mondo, da legislatori e da cittadini. E sono il metro con cui si valuta la civiltà di un Paese. In un’Italia che oggi arranca sempre di più in materia di diritti, emarginando (e torturando) gli ultimi.

È giusto ricordare tutto questo anche oggi. Mentre alla Camera si va avanti a piccoli passi (che vorrebbero festeggiassimo), con l’ennesima legge sbagliata sulle droghe.

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Dopo la scelta del governo di prorogare per un altro anno gli ospedali psichiatrici giudiziari, ho visitato, con la mia collega Ileana Piazzoni, l’Opg di Aversa, dove sono reclusi 145 infermi mentali. Una terra di mezzo tra carcere e manicomio, su cui non ho intenzione di raccontare la buona volontà di chi vi opera o le condizioni che ho riscontrato perché la verità è che questi “non luoghi” non possono né migliorare né peggiorare perché semplicemente è insensato che esistano. Non sono ospedali, non sono carceri, non sono case di cura eppure ad Aversa quando parlavo con il comandante della polizia penitenziaria si rivolgeva agli infermi mentali come “detenuti”; il direttore sanitario li chiamava “pazienti”; per la direttrice della struttura erano “internati”.

Gli Opg in Italia sono sei: Barcellona Pozzo di Gotto in Sicilia, Aversa e Napoli Secondigliano in Campania, Montelupo Fiorentino in Toscana, Reggio Emilia in Emilia Romagna, Castiglione delle Stiviere in Lombardia. Ospitano attualmente 1.051 persone che soffrono sulla pelle un vero e proprio inferno.

Io penso semplicemente, come tanti altri che hanno in questi anni chiesto la loro abolizione, che gli Ospedali psichiatrici giudiziari siano strutture dove non c’è spazio per i diritti. Condivido le ragioni del comitato StopOPG quando sostiene che l’ospedale psichiatrico giudiziario sia un istituto inaccettabile per sua natura, per la incoerente legislazione che lo legittima, per le sue regole d’organizzazione, viziate da vecchie concezioni della malattia mentale e della psichiatria. Infatti più di un terzo dei reclusi, a detta di chi opera in queste strutture, potrebbe già uscire adesso e riavere, con la dovuta assistenza, una vita quotidiana individuale e sociale.

Invece più di mille persone sono state nuovamente condannate dall’ultimo decreto legge del Governo che proroga la chiusura definitiva degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) al 1° aprile 2015. Una proroga che aumenta ancora le sofferenze dei reclusi e che calpesta il loro diritto ad una vita dignitosa.

A poco serve il rammarico espresso in primis dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, e da esponenti del Governo dopo questa scelta a detta di tutti “inevitabile”. E a poco serve lo scaricabarile a cui stiamo assistendo in questi giorni. Da una parte il governo che dice che è tutta colpa dei ritardi delle Regioni nella costruzione delle strutture per l’esecuzione delle misure di sicurezza. Dall’altra parte le Regioni che non sono state messe materialmente in condizione di rispettare la scadenza stabilita: le risorse sono state disponibili solo alla fine del 2013 e tra burocrazia, appalti e lavori le “residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza sanitaria” (Rems), con capienza di 20 posti ciascuna, potrebbero essere pronte in un lasso di tempo che va dai 6 ai 25 mesi. Complicato fare più in fretta. Ma il rischio è che i termini di questa nuova proroga possano essere disattesi, innestando così un circolo vizioso di ulteriori rinvii.

La scelta del governo però dimostra ancora come sia stata barattata la disperazione e la sofferenza degli internati con la realizzazione di nuove strutture pubbliche. Al contrario della proroga dello scorso marzo 2013, il nuovo rinvio inserisce dei requisiti più rigidi, come il dovere del giudice di verificare se invece del ricovero in Opg possa essere adottata una diversa misura di sicurezza e la previsione dell’intervento sostitutivo dello Stato che, nel caso di nuovi inadempimenti della Regione, potrà nominare un commissario per concludere i lavori di realizzazione e riconversione delle strutture.

Il governo dice che bisogna aspettare ancora la costruzione delle opere pubbliche per cui sono stati stanziati più di 170 milioni di euro. Saranno delle comunità con la vigilanza esterna e infermieri presenti giorno e notte. “In pratica dei nuovi manicomi – dicono i sostenitori di StopOpg – strutture in cui eseguire misure di sicurezza, di custodia, anziché dare forza alle alternativa”. Chi assicura in effetti che le nuove strutture non saranno altro che manicomi giudiziari di piccole dimensioni? Le condizioni di vita degli internati e degli operatori sono inevitabilmente destinate a peggiorare considerando come la maggior parte delle risorse saranno destinate al completamento delle nuove strutture. Per scongiurare ciò lavoreremo in sede di conversione del decreto.

Bisogna piuttosto garantire il reinserimento sociale dei pazienti attraverso progetti terapeutico-riabilitativi individuali e redigere finalmente un grande piano nazionale di assistenza ai malati mentali reclusi negli Opg. Invece di puntare tutto sulle nuove strutture è necessario che le Regioni potenzino i Dipartimenti di Salute Mentale ed elaborino percorsi per trasferire pazienti in comunità meno protette o in casa, ove possibile, rafforzando l’assistenza domiciliare. Solo con queste azioni possiamo chiudere una pagina oscena della storia di questo Paese.

Del superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari parleremo venerdì 11 aprile 2014 allo Spazio daSud a Roma durante la presentazione del libro “Un consapevole impossibile amore” della psichiatra e psicoterapeuta Maria Rosa Bianchi, insieme al dirigente medico Irene Calesini e il giornalista Luca Sappino.

(foto www.gianlucapulcinifoto.com)

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La proroga degli Opg è una colpevole estensione delle sofferenze di centinaia di persone

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La nuova proroga alla chiusura definitiva degli OPG è una colpevole estensione delle sofferenze di centinaia di persone. Lo Stato e le Regioni hanno il dovere di mettere la parola fine all’esistenza di questi luoghi indegni. Dichiarano Ileana Piazzoni e Celeste Costantino, deputate di Sinistra Ecologia Libertà in seguito alla visita dell’OPG di Aversa. Abbiamo toccato con mano come la proroga di un altro anno della reclusione di centinaia di persone in questi luoghi, 145 solo nell’OPG di Aversa, significhi soltanto dilatare le loro sofferenze e rimandare, ancora una volta, il loro diritto a una vita dignitosa

Sinistra Ecologia e Libertà aveva acconsentito a malincuore a una prima proroga della chiusura degli OPG, ma a patto che questa fosse l’ultima e nel rispetto di determinate condizioni, per questo il rammarico espresso dal Presidente Napolitano è anche il nostro. Questo nuovo rinvio, motivato sostanzialmente per i ritardi delle Regioni nella costruzione delle strutture per l’esecuzione delle misure di sicurezza, dimostra come si sia barattata la sofferenza delle persone con la realizzazione di opere pubbliche.

La sola costruzione delle nuove strutture non garantisce di per sé l’obbligo per le Asl (contenuto nella scorsa legge di proroga) di sostenere il reinserimento sociale dei pazienti attraverso progetti terapeutico-riabilitativi individuali. Ma il rischio maggiore è che i termini di questa nuova proroga possano essere disattesi, innestando così un circolo vizioso. Le condizioni di vita degli internati e degli operatori, inoltre, sono inevitabilmente destinate a peggiorare considerando come la maggior parte delle risorse saranno destinate al completamento delle nuove strutture. Per scongiurare ciò lavoreremo in sede di conversione del decreto, consapevoli di come sia necessario fissare una data certa entro cui tutte le Regioni debbano presentare i progetti terapeutico-riabilitativi individuali degli internati, in modo da renderli il prima possibile esecutivi e che, a tal fine, siano potenziati i Dipartimenti di Salute Mentale.

L’abolizione definitiva degli OPG non può fare a meno di una imprescindibile modifica della legge penale in tema di misure di sicurezza, affinché si archivino i tragici effetti del doppio binario che separa, accentuando lo stigma, il destino del reo infermo di mente da quello del reo affetto da altre patologie o del reo sano. Solo attraverso queste azioni potremo chiudere per sempre la vergognosa pagina di storia italiana rappresentata dagli ospedali psichiatrici giudiziari”.