Tra le tante battute infelici di Mario Monti una tra le altre ho considerato di estrema matrice berlusconiana: fu quando ha dichiarato che il Pd era un partito nato nel 1921. Poi, certo, ha corretto il tiro, ma è stato evidente il riferimento retorico “vetero comunista” di berlusconiana memoria, atto a sottolineare un’inadeguatezza da parte di quel partito a leggere il tempo presente e ad adeguarsi a un’Italia diversa. È chiaro che per me il modello proposto da Monti fosse decisamente più fuori dalla consapevolezza del reale anche rispetto alla sua descrizione del Pd, devo però ammettere che in questi giorni ho riflettuto, forse per la prima volta davvero, su cosa può significare in termini di “atteggiamento” politico provenire, ereditare o, peggio ancora, pensare di aver ereditato la storia del Pci. Lo dico a partire da me che, per buona parte del mio percorso politico, ho cercato di ispirarmi a quella cultura. Eppure oggi colgo più che mai le storture e l’arretratezza che ne deriva. Perché di quel modello straordinario che intercettava e rappresentava i bisogni delle persone – sì, qui è davvero il caso di affermare la centralità dei “cittadini” – oggi non rimangono che i guasti.
Non è un caso che Fabrizio Barca decida nelle sue 55 pagine (per fortuna c’è ancora qualcuno che non ha paura di farsi carico della complessità) di dedicare gran parte del suo ragionamento alla “forma” partito. Ed evidentemente non sull’aspetto organizzativo/strutturale, ma sul senso e sulla cultura politica a cui oggi è chiamato a confrontarsi un nuovo soggetto politico. Per cui quella che erroneamente è stata derubricata come una discussione politicista, proprio alla luce di quello che è avvenuto con l’elezione del Presidente della Repubblica, è in realtà un intervento diretto al cuore della problema.[Read more]