Le dichiarazioni di Carmine Schiavone risalenti al 1997 certificano le evidenze emerse in questi vent’anni di inchieste condotte da giornalisti e associazioni ancor prima che da magistrati e forze dell’ordine: in Campania e in altre regioni del Mezzogiorno i cittadini vivono – e purtroppo muoiono – sopra una montagna di rifiuti speciali e tossici interrati dalle mafie. La decisione di togliere il segreto di stato al documento della Commissione ecomafie interrompe finalmente l’omertà politica e istituzionale che ha sempre caratterizzato il tema della gestione del ciclo illegale (e spesso legale) dei rifiuti da parte della camorra. Le parole del collaboratore di giustizia confermano, qualora ce ne fosse bisogno, la diffusione territoriale del fenomeno, le enormi responsabilità di politici, imprese e organizzazioni criminali che sono dietro l’avvelenamento di vaste porzioni di territorio, nel Mezzogiorno e non solo.
Per tante aziende lungo lo Stivale, a cominciare dalle grandi industrie del Nord, l’interramento e l’incenerimento a cielo aperto di scorie tossiche in luogo di un processo di trattamento ben più costoso, ha rappresentato una ghiotta opportunità di profitto illecito. Così oggi le istituzioni repubblicane che lo hanno (scientemente?) consentito devono fare i conti con un boomerang in termini di costi ambientali, sanitari ed economici. Come sempre, il profitto di pochi è finanziato dalla collettività, con l’aggravante che stavolta alcuni territori e migliaia di persone stanno pagando con la vita.
In questo scenario la politica deve uscire dal silenzio e battere più di un colpo deciso, mostrando di comprendere la portata nazionale del problema e rimodulando la scala delle priorità in virtù del grido d’allarme che giunge dalle province di Napoli e Caserta.