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Oggi su Repubblica Palermo, un intervento mio e di Erasmo Palazzotto sull’antimafia – Icone addio, la lotta ai clan riparte dagli eroi silenziosi

Celeste - Erasmo

L’antimafia non deve tornare alle sue origini. Al contrario, l’antimafia deve essere capace di trasformarsi così come si sono trasformate le mafie. La crisi che investe l’antimafia oggi è infatti figlia, prima di tutto, della sua cristallizzazione e dei fenomeni degenerativi che questa cristallizzazione ha prodotto.

La complessità del fenomeno che abbiamo davanti non ci consente però di trovare scorciatoie o di lasciarsi andare al tutti contro tutti: non esistono soluzioni semplici o immediate e sono illusori e sbagliati i richiami a un mondo – quello del dopo stragi – che semplicemente non esiste più.

Vanno invece indagate con rigore le cause che hanno portato alle debolezze dell’antimafia e che hanno permesso fenomeni deformativi del movimento.

La prima responsabilità investe la politica. Negli ultimi anni la mancanza di credibilità da una parte e l’incapacità di analisi dall’altra hanno portato i partiti politici a delegare la propria funzione antimafia. Magistrati, giornalisti, imprenditori, associazioni, familiari delle vittime. A loro è stata affidata una sorta di certificazione antimafia che si è palesata, di volta in volta, nella ricerca di un consenso di maniera sui provvedimenti istituzionali, attraverso le partecipazioni di rappresentanti antimafia nelle liste elettorali o, semplicemente, attraverso il finanziamento ad alcune associazioni per mettersi la coscienza in pace. Questo ha determinato una deresponsabilizzazione della politica e un carico eccessivo al cosiddetto “professionismo dell’antimafia”.

Sono tanti gli esempi – passati e recenti – di questo sistema-cortocircuito: in alcuni casi ci sono stati effetti che ancora oggi sono positivi, in altri purtroppo ci siamo trovati di fronte a personaggi che si sono rivelati addirittura vicini a quegli ambienti che avrebbero dovuto contrastare.

Ma al di là dei casi più clamorosi – che hanno coinvolto illustri e autorevoli figure dell’antimafia di professione e che oggi svelano questa crisi – è innegabile che anche le forze “sane” del mondo antimafia sono risultate, nella loro azione, deboli davanti alla sfida che la criminalità organizzata ha lanciato al Paese. Questa fragilità – invece di essere giudicata – andrebbe analizzata fino in fondo perché interroga tutti noi, nessuno escluso.

Ci dice che esiste un ritardo nelle analisi e che ci sono riferimenti culturali logori. E ci dice anche che non esiste una modalità unica e universale con cui si combattono le mafie: c’è bisogno di innovare le chiavi di lettura della società, ma anche le pratiche. Non è un caso, per esempio, che la confisca e il riutilizzo dei beni confiscati con tutto quello che gli ruota intorno – agenzie, tribunali, amministratori, enti locali e associazioni – pur continuando ad essere uno degli strumenti più efficaci abbiano avuto bisogno di una riforma. Così come necessaria è stata la riforma del 416ter che non considerava lo scambio politico mafioso se non in termini economici. O ancora l’istituto dello scioglimento per mafia dei comuni che alla luce dei risultati che ha riportato in questi anni meriterebbe oggi una riflessione.

Ma poi c’è il ruolo degli intellettuali, delle università, delle scuole, degli ordini professionali, dei sindacati, degli imprenditori, delle associazioni e della società civile. Anche qui le responsabilità sono molte. Abbiamo assistito in questi anni ad una rappresentazione del movimento antimafia costruita attraverso icone, eroi più o meno solitari, la cui immagine ha spesso deformato il concetto stesso della battaglia. E, anche oggi, nel dibattito – necessario – che si sta aprendo sul futuro dell’antimafia la rappresentazione è la stessa: figure più o meno autorevoli che si contendono la primazia su un modello di antimafia che non esiste più se non – forse – sul proscenio mediatico.

Dimenticati invece, quando non emarginati, ci sono mondi che fanno un lavoro originale che spesso non viene riconosciuto e per questo non viene raccontato. Esiste un’antimafia sociale quotidiana con tratti anche generazionali unici che non emerge, non si coglie se non magari nel momento in cui ad alcuni di questi ragazzi viene assegnata una scorta. Solo in quel momento – ennesima stortura del sistema – forse hanno accesso al “Pantheon” dell’antimafia. Gli altri rimangono anonimi. Sono quei freelance mal pagati o non garantiti dai giornali, quei ricercatori che non diventeranno mai docenti associati, quei giovani che fanno volontariato nonostante la loro vita precaria, quelli che fanno associazioni e non prendono finanziamenti, ma li dovrebbero prendere perché le generalizzazioni sono buone per prendere gli applausi ma fanno sempre male, quelli che fanno i sindaci di piccoli comuni che restano sconosciuti fin quando scoppia una bomba, quegli insegnati che quotidianamente diffondono legalità in zone di frontiera, quelle donne che hanno dimostrato di essere le più coraggiose di tutti e che, in maniera silenziosa, costruiscono presidi nelle strade, tra i palazzi delle periferie delle nostre città.

Ecco, è da qui, da questi mondi – che si mettono in gioco fuori dai riflettori e senza garanzie – che una nuova antimafia può ripartire o, se preferite, da qui si devono cercare le risposte alle tante domande a cui ancora nessuno è in grado di trovare le risposte.

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La mia interpellanza urgente al Ministero della Salute sui gravissimi fatti degli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria

Stamattina ho discusso l’interpellanza urgente sugli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria. La risposta del Governo la trovate sul sito della Camera qui invece c’è il video della mia replica. E’ stato per me un intervento doloroso che non avrei mai voluto fare. Spero solo di essere riuscita almeno a far arrivare il sentimento di ingiustizia forte che ci attraversa tutti.

Questo il testo dell’interpellanza urgente

Atto Camera

Interpellanza urgente 2-01356

presentato da

COSTANTINO Celeste

testo di

Martedì 26 aprile 2016, seduta n. 613
I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:

con delibera del Consiglio dei ministri del 12 marzo 2015 è stato nominato il Commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari della regione Calabria;
indagini del nucleo di polizia tributaria del comando provinciale della guardia di finanza, nei reparti di ostetricia e ginecologia, di neonatologia e di anestesia degli «Ospedali riuniti» di Reggio Calabria, hanno fatto emergere un quadro inquietante di copertura di errori commessi in interventi su gestanti, pazienti e neonati, per evitare di essere perseguiti penalmente. È stato accertato finora il decesso di due neonati, in due casi distinti, lesioni irreversibili su un neonato attualmente dichiarato invalido al 100 per cento, traumi e crisi epilettiche e miocloniche di una partoriente, il procurato aborto senza consenso dei futuri genitori ordinato da un primario nei confronti della sorella, eseguito con la complicità del primario facente funzioni. Sono numerosi i professionisti interessati dall’interdizione dall’esercizio della professione medica per un anno, coinvolti ginecologi, neonatologi, ostetriche, anestesisti e i sopracitati primari. Si tratta di un enorme sistema che coinvolge l’intero reparto sanitario degli Ospedali riuniti attuato attraverso l’occultamento di numerose cartelle cliniche, e la loro manomissione per evitare di incorrere in procedimenti giudiziari in seguito a palesi errori commessi;
dall’inchiesta emerge testualmente «l’esistenza di una serie di gravi negligenze professionali e di assoluta freddezza e indifferenza verso il bene della vita che di contro dovrebbero essere sempre abiurate dalla nobile e primaria funzione medica chiamata a salvare gli altri e non se stessi»;
il sistema sanitario calabrese è al collasso e la diffusa presenza di corruzione e incompetenza, nonostante la presenza di un commissario ad acta nominato direttamente dal Presidente del Consiglio, mette a repentaglio la salute non solo delle gestanti e dei neonati della città di Reggio Calabria, violando come nell’accertato caso dell’aborto indotto le scelte riproduttive delle donne, ma anche di coloro che abitano in quel bacino territoriale e che si rivolgono a una grande struttura come quella degli Ospedali riuniti a causa dell’assenza di servizi sanitari nelle proprie località di appartenenza –:
quale sia il bilancio della gestione commissariale e come intendano ripristinare le condizioni di legalità e di efficienza dei servizi sanitari degli Ospedali riuniti di Reggio Calabria;
se non ritenga necessario assumere iniziative per rafforzare l’impianto sanzionatorio per i casi di violenza sulle partorienti e per i casi di violazione dei dritti dei neonati;
se non ritenga necessario valutare di adottare iniziative per l’introduzione di una specifica fattispecie di reato volta a punire la «violenza ostetrica».
(2-01356) «Costantino, Zaccagnini, Nicchi, Ricciatti, Pannarale, Gregori, Pellegrino, Duranti, Scotto, Airaudo, Franco Bordo, D’Attorre, Daniele Farina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Palazzotto, Paglia, Piras, Placido, Quaranta, Sannicandro, Zaratti».

http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=2/01356&ramo=CAMERA&leg=17

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La mia interrogazione sullo scempio ambientale a Gioia Tauro, la IAM coinvolta nell’indagine Tempa Rossa

gioia tauro
Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-13033

presentato da

COSTANTINO Celeste

testo di

Giovedì 28 aprile 2016, seduta n. 615

COSTANTINO, DURANTI e RICCIATTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell’interno . — Per sapere – premesso che:
il quartiere Fiume sorge a nord della cittadina di Gioia Tauro ed è attraversato dal torrente Budello, un fiumiciattolo che in periodi di magra raggiunge scarsamente i 50 centimetri ma durante le piogge specie autunnali il livello raggiunge i due metri. Il 2 novembre 2010 li superò abbondantemente esondando ed allagando buona parte del quartiere;
il Comitato quartiere Fiume nasce ufficialmente il 20 ottobre 2012 con lo scopo di fare fronte comune e dare voce alle lamentele dei singoli cittadini del rione. Infatti, l’attenzione sulle problematiche del fiume, del depuratore e del degrado ambientale risalgono al 1997;
già in quegli anni nel fiume Budello venivano svenati i reflui «depurati» dell’adiacente impianto di depurazione oggi gestito dalla I.A.M. S.p.A. Benché fossero reflui depurati i cittadini e il Comitato denunciavano un fetore già da allora insopportabile;
in seguito alle proteste, anche del sopracitato Comitato, la condotta della IAM fu spostata a mare nei pressi della foce del Budello. In teoria, dovrebbe sversare a 400 metri dalla battigia, ma per problemi alla condotta ad oggi sversa a 100 metri o anche meno;
mentre i cittadini si mobilitavano per protestare contro i miasmi e per il fiume abbandonato a se stesso, nelle vie del quartiere aumentavano i casi di tumori e neoplasie, che da sporadici sono incrementati vertiginosamente fino a destare la preoccupazione della collettività. In poco tempo è emerso che l’incremento dell’incidenza tumorale aveva colpito l’intera cittadina di Gioia Tauro, tanto che si è ritenuta necessaria l’attivazione di un registro tumori, attualmente ancora inoperante;
allarmati, 10 mila cittadini hanno rivolto un appello scritto ai più alti livelli istituzionali, tra cui il Ministro della salute Lorenzin, il Procuratore di Reggio Calabria Cafiero de Raho senza ricevere alcuna risposta;
il picco di odore nauseabondo proveniente dalla IAM, correlato ai malori, è avvenuto il 26 giugno del 2014. Non più miasmi semplicemente fastidiosi come lo erano solitamente ma molto più intensi, segnalano coloro che sono stati colpiti da malesseri. Durante la mattinata infatti molte persone sono state trasportate al pronto soccorso con sintomi di nausea, capogiri, lacrimazione oculare. Quel giorno la puzza era veramente insopportabile tanto che la gente abbandonava le case e si spostava in altre zone della città. Nel tardo pomeriggio, appena la puzza ha iniziato a scemare e ha consentito ai cittadini di riavvicinarsi, la popolazione ha bloccato i cancelli del depuratore per impedire alle autocisterne di entrare e scaricare;
la IAM si affrettò a far sapere ai cittadini che il problema sarebbe derivato da un black-out elettrico che non era stato preavvisato. Oggi di quella giornata si conoscono le intercettazioni telefoniche riportare dai quotidiani. In queste intercettazioni la dirigenza IAM, ammette telefonicamente, con i clienti del Centro Oli di Viggiano, di avere dei problemi a causa dello smaltimento delle loro acque. Intercettazioni che portano il caso in mano alla procura di Potenza;
la IAM S.p.A. (Iniziative ambientali meridionali) è una società partecipata a capitale prevalentemente privato che dal 1999 gestisce l’impianto di depurazione di Gioia Tauro. La proprietà dell’impianto è in capo all’ASIREG (consorzio per lo sviluppo industriale riconducibile alla regione Calabria). Il depuratore nasce come impianto di depurazione della rete fognaria di 16 comuni della Piana di Gioia Tauro. Fra i soci della IAM vi sono il comune di Gioia Tauro (3 per cento di quote azionarie e un rappresentate nel Consiglio di amministrazione), Polistena (1 per cento) Rosarno (0,5 per cento);
nel 2008 l’azienda chiede ed ottiene dalla regione Calabria l’autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.) per il trattamento di rifiuti liquidi non pericolosi e da allora giungono al depuratore decine e decine di autocisterne al giorno cariche secondo la società di percolato da discarica. Le discariche da cui provengono sono dislocate in tutta Italia, anche da Brescia e Bolzano. Nonostante la società abbia rassicurato più volte sul fatto che essa smaltisse solo percolato da discarica, dopo l’apertura delle indagini lo stesso, amministratore delegato ha dichiarato che sono stati trattati liquidi provenienti dalla lavorazione del petrolio;
prima dell’interessamento dei PM di Potenza, precisamente il 29 ottobre del 2015, la capitaneria di porto di Gioia Tauro aveva sequestrato la cosiddetta «Quarta linea» del depuratore IAM ossia la parte dedita allo smaltimento dei rifiuti. Secondo le analisi svolte dal Laboratorio ambientale mobile (L.A.M.) della capitaneria di porto vi si riscontrava la presenza di metalli pesanti, quali cadmio, al di sopra dei limiti di legge. Il 17 novembre dello stesso anno il tribunale della libertà di Reggio Calabria dissequestra l’impianto che torna al suo normale funzionamento, nonostante le indagini da parte della guardia costiera proseguano e siano tuttora in corso;
l’inchiesta Tempa Rossa dei giorni successivi a questo episodio confermerebbe che la IAM avrebbe sversato 26 mila tonnellate di rifiuti pericolosi;
solo a questo punto la questione è finita in consiglio comunale di Gioia Tauro, dove all’unanimità si è votato affinché il comune socio al 3 per cento chiedesse all’assemblea dei soci della IAM l’azzeramento del Consiglio di amministrazione e la chiusura della quarta linea –:
di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se intenda promuovere una verifica, anche tramite il comando dei carabinieri per la tutela dell’ambiente, sullo stato dei luoghi e sul livello di inquinamento nonché un’indagine epidemiologica in relazione ai rischi per la salute della popolazione. (4-13033)

http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=4/13033&ramo=CAMERA&leg=17

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A Vibo Valentia il rischio di perdere un patrimonio archeologico. Cosa fanno amministrazione comunale e sovrintendenza? La mia interrogazione parlamentare.

vibo valentiaAtto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-13018

presentato da

COSTANTINO Celeste

testo di

Giovedì 28 aprile 2016, seduta n. 615

COSTANTINO, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, RICCIATTI, NICCHI, DURANTI, MELILLA, PANNARALE e CARLO GALLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo . — Per sapere – premesso che:
durante i lavori di ricostruzione voluti dall’amministrazione di Vibo Valentia su viale Paolo Orsi, la via che conduce al cimitero cittadino, sono emersi sotto gli occhi della Soprintendenza che vigila sulla messa in opera, reperti archeologici che sembrano essere di grande valore;
la Sovrintendenza è stata infatti coinvolta perché il suddetto viale ricade nell’area del parco archeologico urbano dove sono stati già rinvenuti i resti del tempio ionico in località Cofino, per il cui restauro sono stati finanziati 3 milioni di euro e per cui si attende la fine dei lavori;
secondo fonti giornalistiche (Il quotidiano del Sud, 15 aprile 2016), durante i lavori che hanno interessato la carreggiata verso il cimitero sarebbero emersi ulteriori resti delle mura greche dell’antica Hipponion e, di concerto con la stessa Soprintendenza archeologica, si sta procedendo all’interramento degli stessi resti per proseguire l’asfaltatura della strada e la posa dei tubi di condotta idrica per lo scorrimento di acque bianche, probabilmente per carenza di fondi che permettano di valorizzare i resti e renderli fruibili a turisti e visitatori, rispettando così i tempi di consegna e attuazione progetto, a discapito di beni archeologici di fondamentale importanza –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e come intenda verificare le responsabilità della Soprintendenza archeologica rispetto ai propri doveri di vigilanza e dunque che politiche intenda attuare per valorizzare reperti di questo valore, specie per implementare le risorse turistiche della zona. (4-13018)

http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=4/13018&ramo=CAMERA&leg=17