La Camera,
premesso che:
a partire dagli anni ‘70, nell’ambito delle scienze psico-sociali sono stati studiati comportamenti aggressivi intenzionali, spesso ripetuti nel corso del tempo, ad opera di uno o più pari, contro un individuo o un gruppo. Tali comportamenti realizzati da bambini o da adolescenti sono raggruppati sotto il termine di «bullismo» e includono atteggiamenti antisociali come colpire, dare calci e pugni, prendere in giro o insultare, ma anche atti intimidatori indiretti, come il pettegolezzo, l’isolamento sociale e la distruzione, il furto o la perdita di oggetti delle vittime;
la lotta bullismo è al centro dell’attività di tante istituzioni anche a livello internazionale. L’Unesco in un manuale per insegnanti del 2009, scrive che «chi è vittima di bullismo è più probabile che, rispetto ai compagni, sia depresso, si senta solo o ansioso e abbia una bassa stima di sé. I bulli di solito, mettono in atto comportamenti aggressivi per gestire situazioni in cui si sentono ansiosi, frustrati, umiliati o derisi dagli altri». Il bullismo può portare, in alcuni casi, anche a scelte estreme;
la vittimizzazione, fisica o psicologica, può essere dovuta all’ignoranza, alla paura, all’odio o ai pregiudizi e può essere rafforzata dalle norme culturali, dalla pressione dei pari e in alcuni casi dal desiderio di vendetta nei confronti di una specifica persona. Le vittime possono essere persone incapaci di difendersi o considerate differenti a causa della loro provenienza etnica o culturale, del colore della pelle, della disabilità o perché non mostrano quelle caratteristiche che la cultura attribuisce in modo stereotipato alla mascolinità o alla femminilità, colpendo persone omosessuali, trans o ritenute tali pur non essendolo;
il bullismo è visto come una modalità di relazione che si svolge tra due persone, una nel ruolo del bullo e l’altra in quello della vittima, anche se molte ricerche mostrano come il bullismo spesso coinvolga non tanto singoli individui quanto gruppi interi di ragazzi o studenti, ma in realtà affonda le sue radici nel contesto sociale dei bambini e degli adolescenti e nelle aspettative sociali che spingono questi giovani a conformarsi a certi atteggiamenti attesi e condivisi;
un altro fattore importante menzionato da molte ricerche è l’importanza del ruolo di chi assiste agli atti di bullismo, anche se solo alcuni hanno osservato a fondo questa dinamica. Ad esempio, alcune ricerche hanno messo in evidenza che nei contesti scolastici gli studenti che si dichiaravano spettatori di fenomeni di bullismo, erano di volta in volta assistenti che aiutavano attivamente i bulli; sostenitori che li incoraggiavano; esterni che si chiamavano fuori e osservavano a distanza; difensori che intervenivano per proteggere le vittime;
il bullismo è un processo sociale complesso essendo un comportamento aggressivo riconosciuto come diverso da ogni altra forma di violenza. La frequenza e la gravità di questo comportamento può variare a seconda delle situazioni ed è stato evidenziato dalle ricerche che studenti che mostrano lo stesso livello di aggressività tendono a coalizzarsi tra di loro, con conseguente aumento dell’intensità del loro comportamento nel corso del tempo, anche grazie al rinforzo ricevuto dai pari;
i risultati delle ricerche condotte in Italia e all’estero dimostrano che il bullismo è parte integrante della quotidianità della maggioranza degli studenti presi in considerazione, i quali possono essere bulli o vittime, ma è stata osservata in percentuali non indifferenti anche la condizione di chi ricopre entrambi i ruoli a seconda delle circostanze;
la diffusione di computer, internet, cellulari e altri strumenti di comunicazione elettronica ha portato con sé anche la diffusione del cyberbullismo e la tecnologia è diventata la nuova alleata di quei bulli che utilizzano telefono, e-mail, messaggi, siti web, bacheche elettroniche e newsgroup come strumenti per aggredire le loro vittime;
secondo la recente ricerca Istat «Il bullismo in Italia: comportamenti offensivi e violenti tra i giovanissimi» (diffusa a dicembre 2015 su dati relativi al 2014) più del 50 per cento degli intervistati 11-17enni ha dichiarato di essere rimasto vittima, nei 12 mesi precedenti l’intervista, di un qualche episodio offensivo, non rispettoso e/o violento. Una percentuale significativa, pari al 19,8 per cento, dichiara di aver subìto azioni tipiche di bullismo una o più volte al mese. Per quasi la metà di questi (9,1 per cento), si tratta di una ripetizione degli atti decisamente asfissiante, una o più volte a settimana. Speso due diversi tipi di prepotenze riguardano una stessa persona: circa il 72 per cento di quanti hanno lamentato azioni diffamatore e/o di esclusione sono stati vittima anche di offese e/o minacce. Le ragazze presentano una percentuale di vittimizzazione superiore rispetto ai ragazzi;
tra le molteplici azioni attraverso cui il bullismo si manifesta, la ricerca ha rilevato che quella più comune è l’uso di espressioni offensive: il 12,1 per cento delle vittime dichiara di essere stato ripetutamente offeso con soprannomi offensivi, parolacce o insulti; il 6,3 per cento lamenta offese legate all’aspetto fisico e/o al modo di parlare. Più contenuta la quota di quanti dichiarano di aver subìto azioni diffamatorie (5,1 per cento) e di esclusione dovuta alle proprie opinioni (4,7 per cento). Non mancano le violenze fisiche: il 3,8 per cento degli 11-17enni è stato colpito con spintoni, botte, calci e pugni da parte di altri ragazzi/adolescenti;
secondo una indagine condotta nel 2016 da Sos Il Telefono Azzurro e DoxaKids, in Italia un adolescente su cinque subisce episodi di bullismo, da parte dei suoi coetanei, in quasi l’80 per cento dei casi a scuola, mentre il 10 per cento lo subisce online e sui social network;
varie ricerche hanno osservato il legame esistente tra bullismo e disturbi alimentari, che colpisce non solo la vittima, ma anche il bullo. Uno studio dell’università della North Carolina, condotto su 1420 bambini e pubblicato sull’International Journal of Eating Disorders a novembre 2015, ha rilevato che i bulli hanno un rischio doppio di comportamenti bulimici, come l’abbuffarsi o sottoporsi a purghe rispetto agli altri bambini non vittime di bullismo. I ricercatori nella loro indagine hanno analizzato le interviste raccolte nel database del Great Smoky Mountains Study, con oltre 20 anni di informazioni su partecipanti seguiti dai 9 ai 16 anni. In questo modo hanno visto che le vittime di abusi da parte di coetanei hanno un rischio doppio di disturbi alimentari, in particolare di anoressia (11,2 per cento rispetto al 5,6 per cento dei coetanei non bullizzati) e bulimia (27,9 per cento contro il 17,6 per cento) rispetto a chi non ha subito episodi di bullismo. Valori che crescono nei bambini che sono stati sia bulli che vittime (22,8 per cento di anoressia contro il 5,6 per cento degli altri, 4,8 per cento di abbuffate contro l’1 per cento), e ancora di più nei bulli, dove il 30,8 per cento mostra sintomi di bulimia contro il 17,6 per cento dei bambini non coinvolti nel bullismo;
i risultati di 11 studi pubblicati dal 1989 al 2003 dimostrano che gli alunni con disabilità, sia visibili che invisibili, sono vittime di bullismo più frequentemente dei coetanei non disabili, e i ragazzi disabili sono oggetto di prepotenze più spesso rispetto alle ragazze disabili (Carter e Spencer, 2006). La ricerca, peraltro limitata, sulla relazione tra bullismo e necessità educative speciali si è inserita maggiormente nell’ambito delle disabilità visibili, mentre poche ricerche sono state effettuate sull’associazione tra bullismo e disabilità invisibili, tra i quali i disturbi dell’apprendimento. Ma i pochi studi effettuati sono concordi nell’affermare che avere una disabilità, come un disturbo dell’apprendimento, rende gli studenti maggiormente a rischio di subire forme di bullismo;
a tal proposito, va segnalato che, nonostante l’Italia abbia ratificato e dato esecuzione alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità fin dal 2009, ad essa non è stata data piena e completa attuazione e ciò produce effetti negativi anche sulle persone con disabilità vittime di bullismo. Dell’inadeguatezza della legislazione italiana, si dà dato atto nel primo rapporto dettagliato sulle misure prese per rendere efficaci gli obblighi assunti dall’Italia in virtù della Convenzione e sui progressi conseguiti al riguardo, che l’Italia ha presentato all’ONU a novembre 2012. Ad oggi, la principale fonte normativa italiana che si occupa di persone con disabilità (legge 5 febbraio 1992, n. 104) rimane centrata sulla nozione di persona handicappata, superata anche dal punto di vista linguistico, che come scritto nel rapporto: «pone l’accento sulle limitazioni delle facoltà (minorazioni) e lo svantaggio sociale che ne deriva (handicap), dunque sugli elementi che condizionano in negativo la vita della persona con disabilità. Nella legge manca, quindi, un riferimento all’ambiente in cui la “persona con disabilità” vive ed interagisce, in rapporto al quale le “menomazioni” devono essere valutate. L’automatismo secondo cui l’handicap è conseguenza della minorazione è un aspetto potenzialmente critico e superato dalle visioni più recenti della condizione di disabilità»;
anche se dalle ricerche a livello internazionale emerge che tra gli atti di bullismo gli insulti razzisti sono più diffusi, in ambito scolastico è stato osservato che gli studenti riferiscono di sentirsi feriti piuttosto da offese che chiamano in causa la loro «sessualità» che da insulti legati alla loro razza o etnia, alle credenze religiose o al diverso bagaglio culturale;
la maggiore sensibilità mostrata dai giovani verso gli insulti con una connotazione sessuale dipende dal fatto che questi epiteti costituiscono un attacco diretto all’identità dell’individuo, invece che al suo background razziale, culturale o religioso. Ricerche condotte in scuole inglesi, ma la realtà non è differente in Italia, hanno mostrato che epiteti a sfondo sessuale, in particolare quelli che mettono in dubbio la virilità, continuano a essere frequenti nei contesti scolastici e sono scambiati soprattutto tra i maschi;
sul piano socio-politico, numerosi studi qualitativi e quantitativi condotti sempre in diversi Paesi hanno messo in evidenza che il ruolo della scuola continua ad essere quello di un «fattore di mascolinizzazione», cioè un veicolo di promozione di una serie di valori e ideali (maschili) che devono prevalere sugli altri e tutto ciò che non è maschile ed eterosessuale è automaticamente considerato come debole;
esiste ancora un problema di poca considerazione della popolazione studentesca femminile. Questo non indica, come spiegano ad esempio alcuni autori inglesi (Mac e Ghaill), una scelta intenzionale del corpo docente, ma un problema endemico di un sistema educativo mirato a promuovere una visione tradizionalista dei ruoli di genere. Tali atteggiamenti e convinzioni di stampo conservatore sono rafforzati non solo tra generi, ma anche all’interno dello stesso genere. I ragazzi che non corrispondono agli stereotipi, ad esempio, si espongono al rischio di essere aggrediti dai coetanei in quanto non soddisfano le aspettative legate al loro ruolo di genere;
il tema della decostruzione critica dei modelli sociali dominanti tuttora alla base delle relazioni tra i sessi è centrale nella lotta al bullismo. Esso di recente è entrato anche nella Convenzione di Istanbul, ratificata da parte dell’Italia, che ha riaperto nelle sedi istituzionali il dibattito sul fenomeno della violenza sulle donne. Come prevede esplicitamente il III capitolo della Convenzione i Paesi aderenti devono adottare politiche di prevenzione tra le quali un ruolo fondamentale è affidato ad interventi che accompagnino i percorsi scolastici delle ragazze e dei ragazzi, per promuovere cambiamenti nei modelli di comportamento socio-culturali per sradicare i pregiudizi, i costumi, le tradizioni e le altre pratiche basate sull’idea dell’inferiorità della donna o su ruoli stereotipati per donne e uomini. In particolare, si invitano «le Parti [ad intraprendere] le azioni necessarie per includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado dei materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, la violenza contro le donne basata sul genere e il diritto all’integrità personale, appropriati al livello cognitivo degli allievi». L’invito è a promuovere tali azioni anche nelle strutture di istruzione non formale, nonché nei centri sportivi, culturali e di svago e nei mass media;
programmare e sostenere interventi strutturali, soprattutto a scuola, che contrastino e prevengano il bullismo è fondamentale, ma nessun intervento può raggiungere l’obiettivo se ci si limita al momento repressivo, ignorando la conoscenza dei fenomeni sottostanti e i documenti internazionali che chiedono un impegno nella direzione di decostruire stereotipi e pregiudizi;
tra gli interventi che – soprattutto nella scuola – occorre mettere in campo per contrastare il bullismo, deve esserci quello dell’ascolto da parte degli insegnanti. Su questo è necessario investire per offrire al personale docente gli strumenti e l’aggiornamento necessario a sviluppare o rafforzare le capacità di ascolto dei bisogni degli studenti e delle studentesse;
la recente indagine ISTAT, già citata, contiene dati che non possono essere ignorati relativamente ai diversi contesti socio-educativi in cui i ragazzi si muovono. L’ambito familiare di appartenenza, il rapporto con il gruppo dei pari e il percorso scolastico intrapreso rappresentano elementi rilevanti del vivere quotidiano che incidono sui comportamenti e il modo di relazionarsi dei giovanissimi;
guardando al tipo e al livello di formazione scolastica, è possibile distinguere particolari ambiti dove le azioni di bullismo sono più ricorrenti. Le quote di vittime sono più alte tra i ragazzi 11-13enni che frequentano la scuola secondaria di primo grado. Quelle che in passato si chiamavano «scuole medie» si presentano come l’anello debole del sistema dell’istruzione;
la percentuale di vittimizzazione varia a seconda delle caratteristiche delle famiglie in cui vivono gli 11-17enni. Il 12,2 per cento di quanti vivono in famiglie poco numerose (meno di quattro persone) dichiara di aver ricevuto prepotenze, con cadenza più che settimanale, mentre nelle famiglie in cui sono presenti più fratelli/sorelle risulta relativamente meno consistente la percentuale di ragazzi/adolescenti rimasti vittima di azioni di bullismo;
il 23,6 per cento degli 11-17enni che si vedono raramente con gli amici è rimasto vittima di prepotenze una o più volte al mese, contro il 18 per cento riscontrato tra chi incontra gli amici quotidianamente,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative per avviare la modifica e l’integrazione dei piani di studio delle scuole e dei programmi degli insegnamenti del primo e del secondo ciclo, in coerenza con gli obiettivi generali del processo formativo di ciascun ciclo e nel rispetto dell’autonomia scolastica, al fine di garantire — come richiesto dall’articolo 14 della Convenzione di Istanbul – l’inclusione di materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, la violenza contro le donne basata sul genere e il diritto all’integrità personale, appropriati al livello cognitivo degli allievi;
ad assumere iniziative per finanziare, mediante lo stanziamento di adeguate risorse, un piano di formazione per insegnanti di ogni ordine e grado, ma in particolare nella scuola secondaria di primo grado, per lo sviluppo di capacità di ascolto degli studenti, mediante l’adozione di tecniche di « empowerment» delle relazioni, della valorizzazione degli studenti, della pedagogia e della didattica;
a contrastare il bullismo nei confronti delle persone con disabilità dando piena e completa attuazione alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, partendo dall’assunzione di iniziative per eliminazione dell’espressione «persona handicappata» dovunque ricorra leggi e regolamenti e finanziando interventi nelle scuole per diffondere tra i giovani i principi e i contenuti del nuovo «paradigma» introdotto dalla Convenzione;
a partecipare, nella persona della Ministra dell’istruzione, dell’università e della ricerca, all’incontro internazionale dei ministri dell’istruzione organizzato a Parigi dall’UNESCO il 17 maggio 2016 dal titolo « Education Sector Responses to Violence based on Sexual Orientation and Gender Identity/Expression» e a riferirne gli esiti al Parlamento con l’indicazione puntuale delle misure e degli interventi ai quali il Governo intende dare seguito.
(1-01256) «Costantino, Nicchi, Gregori, Scotto, Airaudo, Franco Bordo, D’Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti, Zaccagnini».
Il link Camera http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=1/01256&ramo=CAMERA&leg=17