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La mia interrogazione al Ministero dell’Interno sulla carenza di strutture e di accoglienza alle donne migranti in Italia rifugiate e richiedenti asilo

20/09/2015 Palermo. A bordo della nave della marina tedesca Holfein, sono sbarcati 767 migranti. Fra loro ci sono 65 minori non accompagnati e 9 donne incinte

Interrogazione a risposta scritta 4-13734
COSTANTINO Celeste
Venerdì 8 luglio 2016, seduta n. 650

COSTANTINO, RICCIATTI, DURANTI, NICCHI, CARLO GALLI, PANNARALE, MARTELLI, QUARANTA, MELILLA, PALAZZOTTO, PIRAS, AIRAUDO, SANNICANDRO, PLACIDO, KRONBICHLER

Al Ministro dell’interno . — Per sapere – premesso che:
dal 1999 al 2005 l’Unione europea ha lavorato alla creazione del Common European Asylum System (CEAS), le cui direttive impongono oggi, nello scenario ulteriormente mutato delle migrazioni rispetto a quegli anni, condizioni di accoglienza che garantiscono dignità, protezione e sicurezza sociale, fisica e materiale;
numerose ricerche dimostrano che il gap esistente tra le direttive formali e le reali condizioni di permanenza nei CIE, nei CARA e nei CDA, è ancora troppo ampio;
questo gap si ripercuote maggiormente sulle vite di coloro che il Parlamento europeo definisce appartenenti a «gruppi vulnerabili», ovvero le donne richiedenti protezione internazionale e le rifugiate, che sono portatrici sì come gli uomini di un passato fatto di povertà guerra e violenza, ma sono soggette maggiormente, rispetto ai propri compagni di viaggio, a violenze ed oppressioni specifiche non solo nel Paese da cui scappano, ma anche durante la loro traversata e all’interno delle strutture dei Paesi che dovrebbero accoglierle;
non a caso le istituzioni e gli osservatori internazionali hanno in alcuni casi stabilito di studiare i dati riguardanti la partenza e l’approdo di donne come strumento di comprensione del fenomeno, ad esempio Unhcr ha recentemente aggiunto alla sezioneMediterranean Crisis, un paragrafo dedicato al Gender Breakdown of Arrivals che aggiorna i dati sulle donne approdate sulle coste di Italia e Grecia, i principali punti d’ingresso nel territorio dell’Unione;
se si combinano le tabelle pubblicate, i dati Eurostat consentono la disaggregazione di genere per provenienza, età, Paese in cui si è fatta domanda e decisioni finali sulla sua valutazione. Nel 2015 hanno chiesto asilo nei 28 Paesi dell’Unione europea 1.321.600 di persone, di cui 366.785 erano donne;
solo in Italia invece, nel 2015, le domande d’asilo delle donne erano 9.720 su un totale di 84.085, 4.930 nel 2014 su 64.625, e 3.655 nel 2013 su 26.620. Il sito del Ministero dell’interno HYPERLINK rende pubblici i dati sulla presenza di asilanti sul territorio nazionale. Rispetto al 2014, offre altresì una mappatura regionale e provinciale delle presenze di richiedenti, differenziando anche la tipologia di centro. Tuttavia, non sono indicate le strutture per donne, né vi sono dati disaggregati per genere. Anche il documento che specifica l’andamento mensile del 2015, fornendo dati sulle nazionalità e sulle risposte delle domande analizzate, limita i numeri sulle donne alle domande presentate, senza specificazioni sulle nazionalità, né sulle risposte. («Cosa accade dopo l’approdo sulle coste italiane e greche quando a chiedere asilo sono le donne. Quello che dicono e non dicono i dati». Barbara Pinelli, portale ingenere.it, 5 luglio 2016);
le condizioni psicologiche, sanitarie e di permanenza delle donne nelle strutture di accoglienza italiane si rivelano essere al limite del sopportabile; le donne sono perciò doppiamente esposte a violenza: quella da cui provengono e quella in cui arrivano, in uno scenario di sovraffollamento che spesso le vede condividere gli spazi di accoglienza con numerosi uomini, costrette ad un’alimentazione insufficiente anche durante la gravidanza, o che le vede relegate e controllate a vista persino nell’educazione dei propri figli;
inoltre, nonostante si incontri anche personale qualificato, si è evidenziato come le risorse, professionali ed economiche, non siano sufficienti ad intercettare le donne che arrivano nei centri italiani da un trascorso di violenza, ignorando quando queste sono state vittime di soprusi prima o durante la traversata, o quando siano vere e proprie vittime di tratta, dal luogo remoto da cui sono partite, passando per una serie di compravendite, fino ad arrivare nel nostro Paese –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda intraprendere per garantire una mappatura più funzionale degli arrivi per genere non solo per l’osservazione dei dati ma soprattutto per garantire strutture consone alla permanenza delle donne richiedenti asilo e rifugiate, strutture dotate di personale qualificato e risorse che siano in grado di offrire un significativo percorso di cura e accoglienza nel rispetto della loro vulnerabilità e delle loro usanze. (4-13734)

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Iniziamo dalla povertà

 

periferie

Sono d’accordo con chi sostiene che non bisogna farsi guidare dall’ “antirenzismo”. Non lo paragonerei affatto all’antiberlusconismo, ma colgo comunque il pericolo di uno schiacciamento culturale che non ci consentirebbe di fare passi in avanti. Mi permetto però di evidenziare che anche l’antigrillismo non ci fa bene.

Noi oggi ci dovremmo concentrare, in maniera autonoma, sulla politica: lotta alle disuguaglianze sociali e difesa della democrazia.
Il referendum costituzionale è lo strumento con cui adempiere al secondo punto, ancora non abbiamo elaborato un piano serio che intervenga sul primo, cioè sulla povertà.

Ragioniamo di questo. C’è la necessità dell’introduzione di un reddito minimo garantito, ma abbiamo bisogno anche di ripensare il mondo del lavoro. Non possiamo più mutuare la nostra politica dal Sindacato e non possiamo più cavarcela citando le esperienze di coworking e di startup in giro per l’Italia. Questo è un pezzo importante, ma che non copre tutto. I laureati nel nostro Paese diminuiscono vertiginosamente e il sistema “meritocratico” (questo sì teorizzato sia da Renzi che da Di Maio) taglia fuori un pezzo largo della popolazione che sinceramente non ce la fa a raggiungere gli standard richiesti.

C’è posto in questo Paese per chi ha una licenza media? Ha diritto a lavorare anche chi non ha idee “creative”? Oppure chi non si candida ad essere il numero 1, in Italia deve soccombere?
Siamo in una fase regressiva. Se vogliamo occuparci della povera gente, è bene iniziare a fare l’identikit della povera gente. C’è il ricercatore universitario precario figlio della classe media impoverita, ma c’è anche il ragazzo disoccupato figlio della povertà più nera.

Concentriamoci e discutiamo, tanto per iniziare, a come rispondiamo a queste due condizioni.