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Presentata la mia interrogazione sulla collocazione di un’ulteriore quota di Poste italiane sul mercato azionario

poste italiane
Interrogazione a risposta scritta 4-13888
Giovedì 21 luglio 2016, seduta n. 659

COSTANTINO, RICCIATTI, DURANTI, PAGLIA, PANNARALE, CARLO GALLI, MARTELLI, MELILLA e PIRAS

Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell’economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico . — Per sapere – premesso che:
Poste Italiane, fondata nel 1862 come azienda autonoma, oggi società per azioni, è una delle più importanti aziende italiane nell’ambito dei servizi, operativa nel settore postale, finanziario, assicurativo e in quello della telefonia mobile, centrale nell’economia del Paese per la sua abilità strategica e per la sua funzione sociale;
Poste Italiane, concessionaria del servizio universale, è presente su tutto il territorio italiano con 13 mila uffici postali e più di 143 mila dipendenti;
nell’ottobre del 2015 Poste italiane viene collocata in borsa, con la vocazione di grandi guadagni e la funzione di contribuire all’abbattimento di parte del debito pubblico;
la collocazione sul mercato azionario del 35 per cento dei titoli ha garantito solo una minima entrata nelle casse dello Stato e, dopo un primo buon debutto, le quotazioni si sono «sgonfiate»;
un’ulteriore collocazione del 30 per cento dei titoli azionari in borsa, in aggiunta al precedente passaggio del 35 per cento a Cassa depositi e prestiti, significherebbe di fatto un inutile smembramento dell’azienda, causando importanti ripercussioni sul personale di Poste Italiane e sulla qualità dei servizi offerti alla cittadinanza –:
se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali urgenti iniziative intenda avviare per valutare le ripercussioni dell’ulteriore ricollocazione in borsa, al fine di evitare una svendita che darebbe a Poste Italiane un aspetto speculare a quello di altre società che gestiscono reti di distribuzione, con il rischio di perdere le specificità dell’azienda, in primis la sua funzione sociale. (4-13888)

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Non si può fare cassa con i fondi per i Centri antiviolenza. Raggi intervenga e corregga la scelta dell’Assessore al Bilancio

MANIFESTAZIONE IN CAMPIDOGLIO CONTRO LA CHIUSURA DEI CENTRI ANTI VIOLENZA

MANIFESTAZIONE IN CAMPIDOGLIO CONTRO LA CHIUSURA DEI CENTRI ANTI VIOLENZA

E’ assurdo che a fronte dell’aumento dei casi di femminicidio a Roma, la seconda città in Italia per numero di casi, le prime mosse della Giunta Raggi siano fare cassa con i fondi per i centri antiviolenza. Una cosa incredibile che penalizza prevalentemente le donne già in difficoltà per la chiusura di alcuni servizi come SosDonnaH24. La Sindaca Raggi intervenga e corregga l’Assessore al Bilancio del Comune.

Lo afferma la deputata di Sinistra Italiana Celeste Costantino, promotrice della proposta di legge sull’introduzione dell’educazione sentimentale come strumento contro il femminicidio e la violenza di genere, commentando il taglio di 300.000 euro ai centri antiviolenza operato dalla Giunta Raggi.

Roma è la seconda città in Italia per numero di casi e a livello nazionale, nei primi cinque mesi del 2016, ci sono stati 57 femminicidi, di cui 45 in famiglia, contro i 63 dello stesso periodo dello scorso anno, prosegue l’esponente di SI. In questi anni abbiamo assistito al taglio dei fondi, a piani emergenziali e mappature senza criteri dei Centri antiviolenza in tutta Italia da parte del governo nazionale. Ora la scure dell’Assessore Minenna sui fondi per i centri romani. Mi auguro che la Sindaca di Roma Virginia Raggi intervenga immediatamente. Un servizio pubblico come quello svolto dai centri antiviolenza non può essere definanziato per scelte di risparmio. Anzi, conclude Costantino, le risorse non solo vanno reintegrate ma mi auguro che nel prossimo bilancio del Comune di Roma siano aumentate.

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Presentata interrogazione sull’inattività delle Terme di Antonimina a Reggio Calabria

acque
Interrogazione a risposta scritta 4-13865
Mercoledì 20 luglio 2016, seduta n. 658

COSTANTINO, PAGLIA, DURANTI e RICCIATTI

Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute, al Ministro dell’interno. — Per sapere – premesso che:
il Consorzio Acque Sante Locresi è ente strumentale dei comuni di Antonimina e Locri in provincia di Reggio Calabria;
la concessione mineraria originale è stata rilasciata al comune di Antonimina ed al comune di Locri – congiuntamente – in data 15 aprile 1948, dal Ministero dell’industria e commercio, Corpo delle miniere, distretto di Napoli;
le acque del Consorzio termale di Antonimina — Locri sono conosciute già dall’antichità come «Acque Sante Locresi» e sono classificate come acque termominerali, isotoniche, leggermente sulfuree, salso-solfato-alcaline con tracce di jodio (Autorizzazioni del Ministero della sanità n. 2724 del 6 maggio 1991 e n. 2813 del 29 settembre 1992);
le acque sgorgano costantemente a 36 gradi di temperatura e sono batteriologicamente pure e sono impiegate per bagni, fanghi e per via transmucosa con benefica azione risolvente, detergente e stimolante delle difese organiche e del ricambio generale, trovando quindi indicazione nei postumi di processi infiammatori cronici di qualsiasi origine;
la nuova struttura, sita a Bagni Antonimina a circa quattrocento metri di distanza dalla sede originaria, è stata inaugurata, ufficialmente, il 27 agosto 2011;
la struttura, il cui progetto risale al 1986, sorge su un’area di circa diecimila metri quadri, ed è costata circa 6 milioni di euro, finanziati con la legge n. 64 e con i P.I.T.;
lo stabilimento si distribuisce su tre piani con ampio salone d’ingresso, salone conferenze, uffici amministrativi, sale mediche, due reparti di fangoterapia e aerosolterapia, una grande piscina termale e le sale di fisioterapia;
usualmente la stagione termale è compresa da aprile a novembre ed impiega circa 15 unità lavorative tra stagionali e unità a tempo indeterminato, che attualmente sono inattive;
alla data del 7 luglio 2016 non risulta ancora avviata la stagione annuale con grave pregiudizio per l’erogazione delle prestazioni sanitarie, la maggior parte delle quali svolte in regime di convenzione con l’ASP di Reggio Calabria;
tale situazione appare pregiudizievole dell’attività presente e futura del Consorzio e nello scenario di un’eventuale privatizzazione potrebbe portare ad un minore valore di realizzo;
già nel 2006, lo stabilimento era stato attenzionato e governato da un commissario prefettizio, Dottoressa Niccolò, la quale ha provveduto ad adeguare lo statuto del Consorzio, sotto richiesta degli stessi sindaci dei comuni di Locri e di Antonimina, i quali avrebbero potuto nominare un nuovo Consiglio di amministrazione;
il ripristino, con urgenza, della regolare operatività del suddetto consorzio è importante al fine di salvaguardare l’erogazione del servizio sanitario e le maestranze e l’economia complessiva dell’ente aiuterebbe sul piano occupazionale e sociale tutto il territorio di Locri e Antonimina –:
se il Governo non intenda convocare, per quanto di competenza, un tavolo istituzionale di confronto, con la partecipazione degli enti interessati, al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e dare uno sbocco di prospettiva alle parti sociali e al territorio coinvolto. (4-13865)