Ancora caporalato, ancora schiavitù. La mia interrogazione sui fatti di Ginosa
il 7 febbraio 2017 presso la sede del sindacato Flai-Cgil di Taranto si sono presentati cinque lavoratori rumeni intenzionati a denunciare l’azienda presso la quale avevano fino a quel momento prestato servizio perché si rifiutava di corrispondere loro il salario per il lavoro svolto e dichiarano che altri 25 dipendenti della stessa azienda sono rimasti sul posto nelle stesse condizioni;
i cinque lavoratori sono stati presi e «scaricati» da referenti dell’azienda presso il porto di Taranto e riescono a raggiungere la sede della Flai cercando su google le parole «caporalato» e «schiavitù»;
in quella sede gli stessi raccontano di condizioni di lavoro disumane, anche 16 ore al giorno per pochissimi euro, quando e se venivano remunerati, di aver vissuto in 30 persone, tra uomini e donne, in una struttura in aperta campagna a Ginosa marina, composta di 3 stanze, invasa dai topi, alle spalle di un porcile da cui emanava un tale fetore per cui era impossibile far areare il minuscolo alloggio;
nessun contatto con l’esterno era concesso loro, anche per il cibo provvedeva il caporale e, in caso di necessità di medicine, provvedeva il titolare dell’azienda. Alle donne era concesso di fare la doccia a 5 alla volta per un massimo di 10 minuti, agli uomini per un massimo di 5 minuti;
a tutti gli abitanti dell’alloggio erano stati «sequestrati» i documenti dal caporale;
in seguito alla visita presso il sindacato, i 5 uomini sono stati accompagnati presso l’Ispettorato del lavoro dove hanno presentato regolare denuncia e in seguito, aiutati dalla struttura regionale della Cgil sono stati ospitati e rifocillati;
il 23 febbraio 2017, uno dei 5 lavoratori aiutati dalla Flai richiede ai responsabili aiuto per altri due lavoratori, un uomo e una donna, anche loro abbandonati dallo stesso caporale presso il porto di Taranto, e che avevano ricevuto percosse. In ospedale, viene dichiarato che l’uomo ha fratture al setto nasale e alle ossa intorno all’occhio. Anche loro hanno sporto regolare denuncia e sono stati poi aiutati;
attualmente, i lavoratori e le lavoratrici si trovano in luogo protetto e si attende l’esito delle indagini delle forze dell’ordine –:
se i Ministeri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e come si intenda procedere, anche alla luce dell’approvazione della legge contro il caporalato, per prevenire questi fenomeni di vera e propria riduzione in schiavitù di lavoratori, e se non ritengano di dover promuovere controlli incrociati fra i dati in possesso dell’Agenzia delle entrate e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali per verificare la posizione dell’azienda denunciata dai lavoratori e delle lavoratrici. (4-15891)
http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=4/15891&ramo=CAMERA&leg=17
La Calabria abbandonata dalle infrastrutture. Migliaia di posti di lavoro persi, la mia interrogazione
il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, a seguito dei rilievi mossi dalla Corte dei conti, che avrebbe rilevato carenze nel progetto di realizzazione del 3o megalotto della strada statale 106 tra Sibari e Roseto Capo Spulico – compreso fra l’innesto con la strada statale 534 (chilometro 365+150) fino a Roseto Capo Spulico (chilometro 400) – ha ritirato la delibera Cipe che assegnava le risorse necessarie all’avvio dei cantieri;
l’opera è inserita nel 1o programma «infrastrutture strategiche» delibera Cipe n. 121 del 2001 legge obiettivo n. 443 del 2001;
l’inserimento dell’infrastruttura nell’intesa generale quadro – «accordo di programma per il sistema delle infrastrutture di trasporto nella Regione Calabria» risale al maggio 2002 e la si indica come autostrada Jonica E90 Lecce-Taranto-Sibari-Reggio Calabria, intervento inserito a sua volta nel piano decennale ANAS 2003-2012 e di investimento ANAS 2007-2011;
l’aggiudicazione provvisoria risale al dicembre 2010, aggiudicatarie sono le imprese ASTALDI-IMPREGILO per 791 milioni, il tutto rimane impantanato a causa di una clausola della delibera Cipe 103 del 2007 dove gli stanziamenti a favore vengono subordinati all’assegnazione di tutte le altre coperture (primi 154 milioni di euro legge obiettivo), il costo complessivo totale è di 1.234 milioni di euro, sono del 2008 ulteriori 535 milioni di euro dalla legge obiettivo, la restante somma di euro 536 dai fondi FAS non sono mai arrivati a destinazione, bloccando l’aggiudicazione della gara;
l’appalto viene definitivamente aggiudicato agli inizi del 2012 grazie alla delibera Cipe del dicembre 2011 che eliminava la clausola sulle coperture, il 60 per cento ad Astaldi ed il restante 40 per cento ad Impregilo. La copertura però non è totale ma di 964,4 milioni di euro su un totale complessivo del costo di 1.165 di euro;
la gara, di tipo «general contractor», prevedeva il progetto su bando preliminare, e per come previsto le imprese avrebbero dovuto completare la progettazione prima dell’avvio dei lavori, durata prevista: 7 anni ed 8 mesi, elaborazione progetto: 15 mesi, fase di costruzione: 6 anni e 5 mesi. L’opera doveva essere consegnata entro la fine del 2019;
ANAS riceve il progetto dal contraente generale nel giugno 2013, le verifiche si concludono nel novembre 2013 ed il progetto viene approvato, ma l’approvazione definitiva del progetto al Cipe avverrà solo nell’agosto 2016 per una parte del finanziamento (pari a soli 276 milioni di euro), dichiarando nel comunicato a seguito della deliberazione di approvare la restante somma di euro 842 milioni in tempi brevi, ma non è mai successa;
la restante parte della lunghissima e travagliata storia del 3o macrolotto è dei giorni scorsi, quando la Corte dei conti ha sollevato rilievi che hanno di fatto indotto il Ministero interrogato a ritirare la delibera;
questa infrastruttura, strategica ed indispensabile se partita nei tempi indicati avrebbe dato fiato alla perdurante e grave crisi economica della Calabria ed in particolare alla provincia di Cosenza e alla Cassa edile cosentina, permettendo un incremento degli occupati, sia nel settore edile diretto, che nell’indotto;
tale situazione ha di fatto innestato una pericolosa spirale di sfiducia verso le istituzioni, sempre più lontane dalla realtà vissuta dai lavoratori e dalle loro famiglie, costrette ad accettare condizioni di lavoro modeste o per niente dignitose oppure a lasciare la Calabria –:
come intenda il Ministro interrogato motivare il ritiro del progetto del 3o megalotto e come intenda procedere per garantire i posti di lavoro che, se il cantiere fosse partito nei tempi previsti, si sarebbero aggirati intorno a oltre 3.000 addetti fra dipendenti diretti ed indotto. (4-15879)
http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=4/15879&ramo=CAMERA&leg=17
Un grande cambiamento per il trattamento dei testimoni di giustizia
Per molti anni il coraggio e il senso civico di tanti uomini e tante donne di questo paese non sono stati ripagati come sarebbe stato giusto fare.
Imprenditori che hanno denunciato, semplici cittadini che hanno assistito ad un reato, sono rimasti spesso soli, a volte trattati dal senso comune come pentiti, proprio perché la legge regolamentava le loro collaborazioni allo stesso modo. Hanno vissuto con pochi euro al mese, alcuni coi pacchi alimentari della Caritas, alcuni hanno dovuto affrontare processi senza le adeguate misure di sicurezza.
Hanno vissuto e vivono nella paura. Per sé e per i propri familiari.
Le audizioni e il lavoro svolto in commissione antimafia, che ha consentito di approvare nell’ottobre 2014 una relazione sulla revisione del sistema di protezione dei testimoni di giustizia, ci hanno reso un quadro chiaro. Il decreto legge n. 8 del 1991, con cui dal 2001, oltre ai collaboratori, veniva normato il trattamento dei testimoni, si è dimostrato insufficiente, se non addirittura si ingiusto. I testimoni hanno pagato con isolamento geografico e sociale, perdendo il proprio lavoro e a volte le proprie case, hanno assistito a disparità di trattamento economico tra testimoni, a una burocrazia farraginosa e dannosa che spesso, basti guardate molte testimonianze, li ha fatti pentire di aver denunciato. Eppure le loro testimonianze sono state fondamentali per la giustizia italiana. Grazie a loro negli ultimi anni sono stati inferti duri colpi alla criminalità organizzata e alla criminalità in generale. Il loro aiuto è stato fondamentale e oltre che ringraziarli per questo, possiamo finalmente, con questa nuova legge che modifica il DL 1991 e alcune parti del codice penale, definire una disciplina organica specifica in tale settore.
Adottando ad esempio apposite disposizioni per i minori compresi nelle speciali misure di protezione; applicando le norme, anche ai soggetti che risultano esposti a grave, attuale e concreto pericolo a causa del rapporto di stabile convivenza o delle relazioni intrattenute con i testimoni di giustizia. Garantendo la permanenza nella località di origine e la prosecuzione delle attività che lì svolgono.
Le misure del trasferimento nella località protetta, l’uso di documenti di copertura e il cambiamento di generalità sono adottate invece eccezionalmente, quando le altre forme di tutela risultano assolutamente inadeguate rispetto alla gravità e all’attualità del pericolo, e devono comunque tendere a riprodurre le precedenti condizioni di vita, tenuto conto delle valutazioni espresse dalle competenti autorità giudiziarie e di pubblica sicurezza. In ogni caso, al testimone di giustizia e agli altri protetti è assicurata un’esistenza dignitosa.
Inoltre, con questa legge lo Stato potrà acquisire il suo patrimonio, dietro corresponsione dell’equivalente in denaro secondo il valore di mercato, dei beni immobili di proprietà del testimone di giustizia e degli altri protetti, se le speciali misure di tutela prevedono il loro definitivo trasferimento in un’altra località e se la vendita nel libero mercato non si è rivelata possibile. Ma soprattutto garantirà fattivo sostegno alle imprese dei protetti che abbiano subìto o che possano concretamente subire danni a causa delle loro dichiarazioni o dell’applicazione delle speciali misure di tutela.
Altre misure che convincono che questo provvedimento possa incidere positivamente sulla vita di chi diventa testimone di giustizia è l’eventuale assegnazione in uso di beni nella disponibilità dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata e l’accesso a mutui agevolati volti al reinserimento nella vita economica e sociale sulla base di convenzioni stipulate tra il Ministero dell’interno e gli istituti di credito.
E poi tempi certi, valutazione dei casi secondo criteri specifici e sistematizzati.
Insomma e mi avvio a concludere, un provvedimento di cui c’era bisogno e che Sinistra Italiana ha contribuito a migliorare.
In Commissione giustizia sono passati 2 emendamenti e 1 sub. All’articolo 19, in seguito ad audizione del Procuratore della Repubblica del Tribunale di Palermo, abbiamo integrato la norma che spetta a chi commette calunnia aggravata rispetto alla possibilità di usufruire del trattamento per testimoni, per cui aggiungiamo a “usufruire” anche “o di continuare ad usufruire”, perché non è che smettano di punto in bianco di aver bisogno del trattamento testimoni.
Abbiamo soppresso l’articolo 21 che prevedeva il cambio di generalità allargato. Infatti potrebbero rendere false dichiarazioni anche parenti dei mafiosi, che sono stati magari anche loro mafiosi, e che potrebbero scegliere, rendendo false dichiarazioni dissociative, di vivere alle spalle dello Stato in modo facile e senza impegno testimoniale.
Concludo. Siamo orgogliosi di questo lavoro e di tutte quelle misure che in questi anni abbiamo contribuito a costruire nel contrasto del fenomeno mafioso.
Per tutti questi motivi voteremo a favore di questo provvedimento.