Ormai è un appuntamento pressoché quotidiano. Le donne italiane incontrano quasi ogni giorno la morte, la violenza sanguinaria e incontrollata di uomini che non si rassegnano a considerarle persone. La violenza travestita da amore. Ho vissuto questi ultimi giorni sullo scranno più alto di Montecitorio, ed ho avvertito l’affetto e l’orgoglio di tante donne che, fuori e dentro il Parlamento, mi hanno considerata come un’espressione delle loro battaglie di anni per annullare le disparità di genere.
Ma mi sento anche espressione di quella rabbia che tra noi sta montando di fronte ad un orrore sempre più pressante. Sui giornali di ieri, nelle prime pagine occupate dalle cronache parlamentari, si è ritagliata un piccolo spazio la consueta razione di ferocia: alla periferia di Roma, una donna inseguita in auto e uccisa dall’ex marito. La sequenza la conosciamo fin troppo bene. Una separazione che lui non accetta, appostamenti sotto casa, minacce. E poi le violenze, non denunciate per paura o forse anche perché non si vuole prendere atto fino in fondo della cruda realtà. Infine arriva una scarica di pallottole, ed è troppo tardi per capire. Oppure l’acido in faccia.
I maschi violenti interpretano a modo loro la globalizzazione, importando le pratiche più infami in uso nelle società che chiamiamo “arretrate” e che, in tema di diritti delle donne, certamente lo sono.
Mi ha toccato in modo particolare la notizie arrivata tre giorni fa da Pesaro:una giovane avvocato ora è col volto devastato perché il suo ex compagno e collega ha incaricato un sicario di punirla. Nella mia precedente attività a sostegno dei rifugiati ho incontrato donne che avevano subìto questo oltraggio, e quando ho potuto le ho aiutate a ricostruirsi il viso e una vita. È triste constatare oggi che questa pratica è messa in atto anche da noi.
Un motivo in più per affermare – in nome di una metà almeno del popolo italiano – che la misura è colma, e che la violenza sulle donne reclama un’attenzione maggiore da parte di tutti, ed in particolare da chi di noi si trova a ricoprire ruoli istituzionali.
È un’urgenza che il Parlamento spero avverta come incalzante, non appena l’attività legislativa potrà dispiegarsi pienamente. Intanto, tra le centinaia di proposte di legge depositate nei primi giorni di vita delle nuove Camere, è promettente che già alcune chiedano su questo tema norme più incisive. Non è soltanto un problema di leggi, è vero. C’è una mentalità diffusa, sulla quale bisognerà continuare a lavorare in profondità.
C’è anche una comunicazione che ci rimanda, ogni giorno da mille schermi, un’immagine falsa di noi: corpo esibito, merce che serve a vendere meglio altre merci, richiamo sessuale. La vita quotidiana, con le nostre fatiche e i nostri tanti percorsi, viene cancellata. E in cambio ci vediamo ridotte a nudi oggetti, consegnate ad una dimensione umiliante che prepara il terreno alla violenza.
Si tratta di cambiare le teste, dunque, ed è notoriamente il lavoro più lungo e difficile. Ma dal Parlamento può venire un segnale importante. Nella “casa della buona politica” le donne devono trovare ascolto e risposte concrete. Euna legge, ora, per cominciare a fermare la strage.
da corriere.it