Articolo

La Sicilia, la Calabria, la Lombardia e la finta democrazia

foto-1Purtroppo la Sicilia non mi ha fatto sentire la nostalgia della Calabria in questi mesi. La situazione che ho trovato non era esattamente quella che mi aspettavo. Certo, avevo in mente una realtà complessa e difficile, ma contavo sul fatto che le esperienze, gli esempi positivi che ha prodotto questa terra nel corso del tempo avessero contaminato un po’ di più la scena pubblica di questa regione. E invece tante similitudini, tante affinità ho ritrovato fra questi due territori. Tralascio gli aspetti belli che chiaramente sono tanti e che per me sono stati elementi vitali per stare qui. L’analisi va fatta su quello che non funziona, su quello che sta mangiando il corpo vivo di un territorio, su quello che corrode e fa marcire anche ciò che è più bello e che ahimè risiede in tante responsabilità.

La politica innanzitutto, ma non solo quella. Le elezioni regionali qui in Sicilia non stanno segnando un cambio di passo rispetto alle macerie che lascia la vecchia classe dirigente. E anche noi che sulla discontinuità con il passato e un’idea di futuro di libertà stiamo lavorando e lavoriamo con grande fatica siamo immersi in un quadro in cui ci siamo ritrovati ad affrontare tanti ostacoli, alcuni dei quali prodotti anche da noi stessi. Ma non voglio parlare di questo: il 28 ottobre è ormai vicino e ci sarà il tempo di confrontarci su quello che sarà il risultato. E sono convinta che i siciliani sapranno capire l’importanza di dare un voto libero.

Quello che invece mi preme discutere è il cono d’ombra in cui tutto ciò avviene. È richiamare l’attenzione su un’analisi che manca e che oggi invece la politica – o almeno noi – dovremmo essere capaci di fare. Ieri è stato sciolto il Comune di Reggio Calabria, per la prima volta un comune capoluogo di provincia. La notizia è durata il tempo di una notte: già la mattina dopo tutte le trasmissioni di approfondimento politico mettevano in evidenza l’arresto dell’assessore regionale della Lombardia Zambetti per ‘ndrangheta bypassando, o addirittura ignorando, una decisione che non ha precedenti nella storia della Repubblica italiana. Perché non si è sentita l’esigenza di parlare di Reggio? Perché tutti chiedono a gran voce le dimissioni di Formigoni e nessuno chiede quelle del governatore della Calabria (ed ex sindaco di Reggio Calabria) Scopelliti? Neanche questo basta? Neanche questo è servito per accendere i riflettori su una terra comandata dalla ‘ndrangheta? Un problema che riguarda complessivamente la classe dirigente di questo Paese e il mondo dei media main stream.

Ecco che allora nel silenzio generale anche in Calabria si dovrà aspettare, come è successo in Sicilia il 31 luglio, che sia un atto di volontà del governatore. Un po’ come è avvenuto con Lombardo” che ha scelto di dimettersi perché i partiti dentro l’Ars – compreso il Partito democratico – non gli hanno fatto un atto di sfiducia. Questo è il segno della crisi drammatica in cui versa la politica, in cui i partiti soffrono di strabismo e fingono di non vedere, in cui predicano bene e razzolano male, in cui l’antimafia è lasciata alla libera iniziativa di qualche dirigente o militante e non diventa un metodo di fare politica.

Io penso che uno degli effetti peggiori del berlusconismo e della crisi sia stata la morte della società civile. Tutta. Da quella politica/organizzata a quella comune. La politica si è avvalsa di essa ed essa si avvalsa della politica. La politica l’ha fatto tutte le volte che ha avuto la necessità di rifarsi il maquillage, la società civile l’ha fatto ogni volta che ha avuto la necessità di riaffermare la propria identità. In entrambi i casi siamo in presenza di un operazione di “autoconservazione” e mai di un processo di “autodeterminazione”. La critica del potere oggi risiede tutta dentro la democrazia, democrazia che assume la forma dello strumento di maggiore violenza fuorviante applicato al corpo sociale.

La politica istituzionale crolla dentro un meccanismo di corruzione e, per riuscire a sopravvivere, chiama a raccolta i soggetti che plasticamente rappresentano il suo fallimento: l’operaio, il precario, la donna, il giovane, l’intellettuale. Coloro i quali non hanno avuto risposte e dignità si trasformano – almeno esteticamente – nella soluzione della finta rappresentanza. Il meccanismo è sussumere le persone e non il problema al fine di recuperare una qualche verginità perduta.

Dall’altra parte invece sta la società civile, quella che si autodefinisce così, che fa leva su questo status e che decide consapevolmente di agire questa condizione di contrapposizione. Così – accanto al tanto vituperato ceto politico da spazzare via – ritroviamo proprio lì vicino il ceto della società civile o, peggio ancora, il ceto di movimento (che oggi rischia di essere maggioritario) la cui cifra è il disprezzo per la politica istituzione, un disprezzo che oggi possiamo dire essere diventato sistema.

La totale assenza di consapevolezza di questa fase nel pensiero politico, incapacità e mancanza di coraggio stanno portando al totale abbrutimento sociale con rischi profondi e laceranti per la democrazia. Democrazia che, appunto, viene rivendicata solo in funzione di questo sistema senza mai porre un’analisi critica sui soggetti investiti dalla sua applicazione. Emblematico da questo punto di vista è il caso: riforma elettorale.

Lo scandalo del Parlamento dei nominati, che tanto appassiona il Movimento Cinque Stelle, diventa centrale nella vita delle cittadine e dei cittadini. Eppure, se solo andiamo un po’ più in là con lo sguardo, se guardiamo la cronaca di questi giorni, scopriamo che i Comuni, le Regioni sono luoghi di altrettanto spreco di risorse, di corruzione, di degenerazione pubblica. Non è solo il Parlamento dei nominati allora il problema, ma una qualche distorsione deve esserci anche con i rappresentanti dei partiti eletti e scelti dalla cittadinanza. Con le preferenze.

Allora se il porcellum fa schifo, e nessuno ha difficoltà a dichiararlo, dire invece che c’è una società civile che ha abdicato al suo ruolo è più doloroso e più complicato. Nessuno vuole ammetterlo. Allora attenzione alle semplificazioni, ai giudizi sommari, alle campagne di stampa strumentali. Il parlamento, e anche la Sicilia, la Calabria, il Lazio, la Lombardia, da qualche giorno il Piemonte e l’Emilia Romagna, segnalano un fallimento di cui tutti ci dobbiamo fare carico. Non solo chi sta nelle istituzioni, anche chi sta fuori e dice di volere il cambiamento.