Premesso che
In data 23 gennaio 2017 l’Università di Bologna dispone presso la sala studio di Lettere di via Zamboni 36 l’installazione di porte a vetro apribili tramite badge disponibile a studenti e addetti dell’Ateneo, nonché di una telecamera che registri gli ingressi.
Tale decisione deriva ufficialmente dalla volontà di prolungare l’orario di apertura dalle 22 alle 24, impedendo l’accesso ad esterni come misura di sicurezza contro lo spaccio di stupefacenti.
Alcuni collettivi studenteschi contestano apertamente la scelta, ritenuta lesiva della libertà di frequentazione degli spazi pubblici universitari.
Non si riesce evidentemente ad attivare un dialogo proficuo, e la tensione cresce progressivamente, fino a quando gli stessi collettivi in data 8 febbraio provvedono a smontare per protesta le barriere, portandone i resti materiali al rettorato.
A seguito di tale evento, il rettorato dispone la chiusura della sala studio.
Cominciano proteste ulteriori e nella mattinata del 9 febbraio i collettivi provvedono quindi a forzare la porta, rendendo accessibile l’edificio che durante la giornata viene regolarmente frequentato da studenti.
Nel tardo pomeriggio intervengono le forze di polizia in assetto antisommossa e penetrano dentro la sala studio.
Seguono confusione e scontri all’interno che producono la devastazione dello spazio, evidentemente non consono a una simile dinamica.
Gli scontri proseguono poi nelle vie limitrofe, impegnando almeno un centinaio di manifestanti e le forze dell’ordine.
Chiede
Se ritenga legittima e opportuna l’installazione di barriere all’ingresso di una sala studio e biblioteca, che ne rendono oggettivamente più difficile la frequentazione.
Se ritenga sia stato messo in campo il dialogo necessario a stemperare la tensione che evidentemente si era venuta a determinare nei giorni scorsi.
Se risulti che le forze di polizia siano intervenute presso la sala studio di via Zamboni 36 su richiesta del rettorato e nel caso se ritenga che tale richiesta sia condivisibile.
Perché le forze di polizia abbiano adottato metodi tanto aggressivi in un luogo così palesemente inadatto, tanto dal punto di vista della funzionalità quanto del carico simbolico, anche considerando che al momento dell’intervento la sala risultava frequentata da studenti.